ACCORDO MIUR FITA

Accordo MIUR FITA, cioè tra la Federazione italiana teatro amatoriale e il Ministero dell’Istruzione eccetera per effettuare l’alternanza scuola lavoro anche presso le compagnie teatrali. E al 1° Seminario Nazionale di Educazione all’Immagine promosso da MIBACT, MIUR, AGIS, AGISCUOLA e ANEC, si è presentato nientemeno che il presidente della FITA (lo si legge sul Sole 24 Ore) ricordando il ruolo essenziale avuto dalla ministr(a) dell’Istruzione, Valeria Fedeli, nella firma di questo documento, che “pone le basi per significativi sviluppi del rapporto da tempo esistente tra la Federazione e il mondo della scuola”. Una simpatica coppia a braccetto.

Riportiamo integralmente un articolo di Alfonso Liguori dal suo blog http://ipocritacivitas.blogspot.com  Da leggere fino in fondo.

DILETTANTI IN CATTEDRA

(cari attori, dal 6 ottobre trovatevi un lavoro)

Cominciamo col dire che questo sarà l’ennesimo post lungo.

A me non piace fare post lunghi come non mi piace leggerli (e soprattutto rileggere i miei dopo che li ho scritti!), ma le cose che devo raccontare, non sono purtroppo note a tutti, a volte nemmeno a tutti gli addetti ai lavori, e quindi c’è la necessità di far capire e di far capire bene. Inoltre, in casi come quello che state per leggere, le cose da dire sono molte e intrecciate tra loro, stesso dicasi per le considerazioni da fare. Con estrema franchezza preferirei cavarmela in venti righe ed economizzare anche sul tempo (che mi è prezioso), ma pare proprio che non si possa fare, e questo mi fa incavolare più di quanto possiate immaginare, più di quanto già non lo sia proprio per quel che mi tocca raccontarvi.

Diciamo che sono arrabbiato.

Diciamo che sono molto arrabbiato.

È uno di quei periodi che “mai ‘na gioia”, nemmeno nelle cose accessorie come il Mondiale di pallavolo o di ciclismo, il Napoli che sbanda pesantemente a Torino con la Juve e i numeri del Lotto che non si fanno vedere nemmeno col binocolo, la festa di San Matteo a Salerno è stata di una noia tremenda e quando ci sono state le ultime giornate buone per andare al mare erano quei fine settimana targati: “Non avvicinarti se non vuoi essere inghiottito dalle sabbie popoli”.

Ma il condimento dei condimenti arriva stamattina, in una bella domenica di settembre.

Già. Si avvicina questa benedetta Manifestazione per la Cultura, il 6 ottobre a Roma, che vedrà insieme tutti i comparti del mondo culturale italiano, dai museali ai teatranti, e ti sbucano fuori notizie che prima ti lasciano di sasso, poi ti fanno perdere le staffe. 
Così, in questa intervista “multipla, nel pezzo dedicato al rappresentante degli attori, gruppo Facciamo La Conta (di cui anch’io farei parte, porca paletta!), scopro che, per l’insegnamento del Teatro nelle scuole, il MIUR ha stretto un accordo con il FITA.

In questo momento qualcuno starà pensando: “E chi se ne frega”, qualcun altro: “E chi sono ‘sti due”. 
Rispondo a tutti, compresi i mister chissenefrega, perché questi sono poi sempre i primi che quando scoppiano i problemi si lamentano. E dunque non ci vengano poi a dire che nessuno glielo aveva detto. 

Il MIUR è, come dovreste sapere se siete cittadini di questa Nazione, il Ministero Istruzione Università e Ricerca, cioè quello che una volta chiamavano molto più semplicemente Ministero della pubblica istruzione, poi ci hanno messo insieme l’Università e la Ricerca e ne è venuto fuori l’acronimo. Perché una cosa vi deve essere chiara: noi non accorpiamo i ministeri per pubblica utilità, ma sulla base della bellezza dell’acronimo: MPI (ministero pubblica istruzione) non suonava bene, e quindi, dopo vari esperimenti, siamo giunti a MIUR, con l’accento sulla I e non sulla U, mi raccomando altrimenti sembra il miagolio di un gatto, o il chiù di pascoliana memoria.

Poi c’è il FITA, cioè: la Federazione Italiana Teatro Amatori.

Praticamente una federazione di gruppi teatrali di dilettanti.

Bene. Più di due anni fa, prima dell’arrivo del Ministro Valeria Fedeli al MIUR, quando c’era il Ministro Stefania Giannini, furono emanate delle linee direttive per l’insegnamento del teatro nelle scuole, non più inteso come materia extrascolastica, ma come un insegnamento con la stessa dignità degli altri, con il pieno diritto di essere nei programmi scolastici e non più nelle “attività del pomeriggio”.

Un salto di qualità enorme, soprattutto perché si riconosceva che la Recitazione, ancor prima che il Teatro, è una vera disciplina formativa.

Io che ho insegnato Recitazione nell’unico liceo teatrale d’Italia, il “G. Erba” di Torino, tutto questo lo sapevo già, ma figurati se qualche capoccione viene a chiedere a chi fa le cose che tipo di valore possono avere…

Ho visto ragazzi con tre in matematica o quattro in storia, recuperare voti su voti dopo un serio percorso di formazione teatrale.

Perché a differenza di quello che si crede, la recitazione non è gioco e divertimento, la recitazione è disciplina, una disciplina che ti entra nell’animo e ti modifica senza che tu te ne accorga. Così come ho visto ragazzi appassionarsi non tanto al teatro quanto alla letteratura e alla scrittura, o imparare a mettere ordine nelle loro cose, interiori e esteriori. Ho visto con piacere, ragazzi smetterla di farsi “le canne”.  

L’insegnamento della recitazione non prevede che tutti debbano diventare attori, perché non tutti possono diventare attori, come non tutti possono fare i pittori o i ballerini o gli architetti o gli avvocati, ma prevede che tu compia un esercizio di disciplina e sulla disciplina, che tra le altre cose ti insegna che per raggiungere un risultato, per ottenere un piacere devi fare una fatica.

Io so benissimo che a molti di voi sembra un fatto normale, ma guardate che per la gioventù di oggi, abituata ad ottenere facilmente le cose (e non propriamente per loro colpa), questi non sono dati scontati. Un giovane di oggi che cerca per esempio il significato di una parola, non deve alzare il culo dalla sedia per andare a prendere il vocabolario nella libreria come dovevamo fare noi. Apre il suo smartphone collegato a internet, digita la parola, trova la risposta. Ed è così per tutto, per tut-to!

Certo, ci sono quelli che studiano danza, o che fanno sport o si esercitano con la musica che apprendono le stesse cose. La vulgata, purtroppo alimentata da troppi nostri importanti attori, è che invece con la recitazione ci si diverta. I miei ragazzi, posso portarveli quali testimoni, hanno imparato che non è così, e hanno appreso il gusto del piacere che arriva dal sudore, e dalla corretta speculazione intellettuale
Perché l’organo maggiormente sollecitato nella recitazione è il cervello, in mille modi che ora vi risparmio, come il comprendere, il pensare, il prevedere, il programmare, il rilevare lo spazio, allenare l’ascolto, il percepire il suono e il suo senso, ecc. ecc. ecc.

(e “l’immedesimazione” non c’entra un cazzo,

“l’immedesimazione” non c’entra …,

“l’immedesimazione” non c’entra …,

“l’immedesimazione” non c’entra …,

“l’immedesimazione” non c’entra …,

così come “l’improvvisazione”,

così come “l’improvvisazione”,

così come “l’improvvisazione”,

così come “l’improvvisazione”,

così forse ci capiamo subito anche su queste stronzate cosmiche delle quale un giorno ci toccherà pesantemente fare giustizia!).

La Recitazione è un esercizio di rigore e di controllo potentissimo che agisce nel profondo dell’anima strutturandola e aiutandola a crescere.

Ora: tutta questa roba, evidentemente di una delicatezza estrema, vi pare possa essere messa nelle mani di un gruppo di dilettanti?

Vi pare che l’animo dei vostri figli possa essere messo nelle mani di un gruppo di dilettanti?

Se il medico vi ordina dei massaggi dal fisioterapista, andate da un fisioterapista laureato o andate dalla cinesina che vi massaggia sulla spiaggia sotto l’ombrellone?

Se un vostro caro ha bisogno di fare delle flebo, cercate un infermiere professionale o fate venire la portiera del palazzo che sa fare le iniezioni?

Il signore che tiene la scuola calcio, o insegna nuoto nella piscina dove portate il vostro bambino, ce l’ha o no uno straccio di diploma che attesti una sua specifica competenza passata attraverso un minimo di studi, oppure mettete il corpo di vostro figlio nel periodo della crescita, nelle mani del vostro amico cassiere di banca appassionato di calcio che guarda tutte le partite alla tv?

Quando pagate le lezioni di piano, volete o no uno che abbia almeno uno straccio di diploma al conservatorio? E immagino che lo stesso pretendiate per la danza, dato che non vorrete che la vostra bella bimba si rovini qualche tendine…

Potremmo continuare per ore. 
Quando però si parla di Recitazione, quando si parla dell’arte del fingere (“il teatro è finto, non falso!”), allora va bene chiunque?

Anche uno che se vostra figlia ha un difetto di pronuncia magari glielo fa peggiorare?

O che magari le fa compiere dei movimenti azzardati che possono crearle problemi?

O che le faccia compiere azioni “spregiudicate” sotto molti punti di vista così da crearle inibizioni invece che aiutarla a togliere timidezze?

Perché è questo, cari genitori, che non vi è chiaro, e che vi dovrebbe spingere a richiedere la professionalità del fisioterapista laureato: recitare vuol dire toccarsi, abbracciarsi, entrare in una intimità dell’animo ancor prima che del corpo, che non ha limiti; o se ne ha, questi possono essere splendidamente interessanti o decisamente pericolosi; che sia farsa o tragedia ci si allena a spingersi sul baratro delle emozioni, sempre, si lavora sui sentimenti, sempre.

E vi pare che tutto questo, nel momento in cui sono coinvolti i vostri figli, magari in quella difficile età di formazione tra i quattordici e i diciotto anni, possa essere messa in mano alla simpatica cinesina che fa il massaggio sulla spiaggia? Perché è di questo che stiamo parlando.

Ma tranquilli, se non ve ne volete occupare, ebbene il Ministero ha deciso per voi, e io voglio sperare che voi non lo troviate normale.

Noi attori non lo troviamo normale, anche se – ed è qui che inizia la mia arrabbiatura – abbiamo dato poco, pochissimo spazio a una questione così delicata sotto più punti di vista: quelli esposti che riguardano il profondo valore delle professionalità, e quelli pratico-lavorativi, perché è evidente che questo dell’insegnamento nelle Scuole, in un momento di crisi economica così profonda, poteva essere un interessante sbocco per molti di noi.

Invece lo Stato, anzi i Governi, anzi nello specifico i governi del Partito Democratico, stabiliscono che un professionista o un amatoriale sono la stessa cosa, decidono che quando il medico vi dirà di fare della fisioterapia potrete anche andare dalla simpatica cinesina sulla spiaggia.

Il protocollo d’intesa MIUR – FITA  è datato 27 marzo 2018, con un curioso esergo: “Rafforzare il rapporto tra scuola e mondo del lavoro”.

L’ennesimo regaluccio fattoci, dunque, poco prima che il Governo Gentiloni lasciasse le stanze dei bottoni? In particolare vorremmo tanto che ci fosse data la certezza che non sia stato per fare un piacere a qualcuno. Vorremmo davvero tanto essere rassicurati in tal senso, perché ci sono curiose assonanze che portano a pensar male e, seppure peccatori, non vogliamo in alcun modo azzeccarci; come ad esempio il fatto che il tesoriere del FITA si chiama Giuseppe Minniti ed è, da quanto leggiamo in internet, di Reggio Calabria come l’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti. Solo un caso? Speriamo di sì.

Ma tralasciando dietrologie e complottismi, ci piacerebbe che nel concreto i responsabili di questo accordo ci spiegassero l’esergo. “Rafforzare il rapporto tra scuole e mondo del lavoro”. Ecco: qual è il mondo del lavoro dei dilettanti?

Perché nel sito, come potete vedere, tale FITA si dichiara come associazione di compagnie amatoriali. 
Ma poi nel protocollo potrete trovare che: “è una federazione di associazione che ha la finalità di stimolare e sostenere la crescita culturale (…) si propone altresì di favorire lo sviluppo di iniziative destinate alla formazione artistico-culturale e sociale (…) già da anni ha avviato percorsi di alternanza scuola lavoro con diverse realtà scolastiche in tutta Italia e, a tal fine, ha già organizzato incontri di formazione per i propri iscritti, nella piena consapevolezza che l’alternanza scuola lavoro è una metodologia didattica, con finalità di motivazione e accrescimento delle competenze delle studentesse e degli studenti (…) rende disponibili le professionalità della propria struttura organizzativa e del proprio management, per favorire lo sviluppo di percorsi di alternanza scuola lavoro”.

La lettura di queste sedici pagine è particolarmente interessante e vi invito a farla (oltre tutto non è particolarmente complicata), ma c’è un punto, all’art. 3, che mi ha decisamente interessato; quando si dice che la FITA si impegna a: “ricercare e selezionare, anche attraverso accordi di rete, i comitati regionali e/o provinciali e le associazioni ad essa iscritte che, a livello territoriale, si rendano disponibili ad accogliere studentesse e studenti in progetti di alternanza scuola lavoro”.

Ora, devo essere io che non capisco. La FITA dice nel suo sito di essere “una federazione di associazioni culturali, artistiche e in particolare di teatro amatoriale senza fini di lucro, apartitica e aconfessionale”. Però si occupa di progetti alternanza scuola lavoro, di fare praticamente da mediatore (se ben ho compreso) tra la scuola e chi volesse studenti per l’alternanza, ma soprattutto, la FITA pare davvero essere consapevole di essere una associazione di amatoriali, cioè di dilettanti, infatti dice nel protocollo che ha organizzato incontri di formazione per i propri iscritti perché sanno che l’alternanza è una metodologia didattica. Che dunque ai suoi iscritti manca?

E a tal fine: rende disponibili le professionalità della propria struttura organizzativa e del proprio management, per favorire lo sviluppo di percorsi di alternanza scuola lavoro.

Ma insomma il MIUR con chi ha sottoscritto un protocollo: con una associazione di amatoriali o con un gruppo di professionisti?

Resterà un mistero, come mille altre cose in questo Paese se… se qualcuno non ci metterà seriamente le mani. Si spera vivamente lo faccia questo Governo dal quale in tanti ci aspettiamo tante cose, col rischio che non abbiano nemmeno il tempo per farle. 
Di sicuro, mettere le mani nella materia teatrale è un vero problema, un ginepraio orrendo che si è incancrenito strato su strato, incrostazione dopo incrostazione.

E la colpa di questo, come ho già avuto modo di scrivere, è anche dei teatranti stessi, che vivono ai margini del mondo, preoccupati solo del loro personalissimo contingente e strafottendosene di tutto quello che gli accade intorno, salvo poi lamentarsi del fatto che il mondo non si occupa di loro.

Quanto vi ho sommariamente raccontato su questo accordo MIUR – FITA è di una gravità inenarrabile, ma ho il vago sospetto che i miei colleghi non lo abbiano compreso, e soprattutto non abbiano compreso il perché di certe azioni politiche. Che sono studiate, mirate, che fanno parte di un piano, che non nasce dalla generica cattiveria o dalla stupidità di un ministro, ma da un progetto preciso di…

Che c’è? Ora volete sapere?

Sapete cosa vi dico? Che non ve lo dirò. Perché ve l’ho detto tante di quelle volte, in pubblico e in privato che sono stufo di ripetere a chi non solo non vuole ascoltare, ma quando ascolta e dice di avere capito poi non agisce in conseguenza. E allora a cosa serve?

Qui, miei cari, la colpa non è del FITA che fa giustamente il suo gioco, il suo interesse, ma di chi non ha voluto ascoltare e studiare e ragionare e apprendere quando era il momento, di chi ancora oggi si rifiuta di comprendere le cause in nome di ideologie che gli scattano dentro in automatico come il pulsante spostato da On-Off.

Che continuino pure, costoro, a nutrirsi della informazione, che pure sanno essere distorta, dei giornaloni e dei telegiornaloni di regime, il destino che li attende è esattamente quello programmato dal Potere: la morte del professionismo artistico; fatto salvo un gruppo ristretto che servirà a propagandare la “cultura di regime”, il circolo dei buoni. Il resto saranno solo dilettanti. Trovatevi un lavoro, è meglio, perché il vostro caro teatro diverrà soltanto il divertimento dei fine settimana.
Lo so, in cuor vostro siete certi che voi entrerete in quel ristretto numero di eletti della “cultura di regime”, e starete protetti.

Vi do una notizia: ne siete già fuori. Il Potere ha già fatto i suoi giochi e voi non siete nel novero dei prescelti. Forse insistendo, prostrandovi molto, abdicando totalmente il senso della vostra dignità potrete sperare nelle briciole che cadranno dal tavolo. E forse qualcuno di voi avrà anche un breve periodo di fama, se servirà al Potere, che una volta che vi avrà spremuti vi getterà via.

Tante volte mi è capitato di ripeterlo: di deflazione salariale in deflazione salariale, alla fine vincono gli amatoriali. E così è successo, al punto che adesso lo Stato lo ha scritto in un suo documento ufficiale.

Ma c’è un’altra cosa più grave sulla quale dovreste riflettere, cari i miei colleghi, e che dovrebbe investire tutte le vostre convinzioni, portandovi finalmente a tagliare quel cordone ombelicale col voi stessi di prima conducendovi alla salvezza del teatro italiano e quindi anche vostra: ricordate tutti la triste frase del ministro Tremonti: “Con la Cultura non si mangia”; la tenete di sicuro a mente, visto che la disse uno del governo di quello, e che ci avete costruito decine di pubbliche rimostranze.

Bene, Tremonti lo disse, ma i nostri cari amici de sinistra, i governi del vostro caro PD, quelli degli ultimi sette anni da Monti a Letta a Renzi a Gentiloni, ‘a sinistra che avrebbe dovuto difendere i lavoratori, i valori della Cultura, della Storia del Paese, delle sue ricchezze e bellezze, della sua Arte, lo hanno fatto: hanno strutturato un sistema nel quale “con la Cultura non si mangia, e non mangerete”.

Trovatevi un lavoro, nuovo popolo di dilettanti.  

PS – Come ho già avuto modo di dire in pubblico e in privato, alla manifestazione del 6 ottobre non ci sarò. Ho altro da fare, andare a San Giorgio Canavese a un incontro con Gero Grassi sul “caso Moro” che mi sta molto a cuore, forse più a cuore delle sorti della Cultura italiana perché credo che se la Cultura sta come sta… le ragioni vanno anche cercate in quel brutto fatto.
E poi perché come ho detto, sempre in pubblico e in privato, in questa manifestazione non credo. Per due motivi:

1° le manifestazioni non servono più a un tubo, lasciano il tempo che trovano e sono anche odiate da quelli che vanno in macchina “e nun ponno passà perché ce sta ‘a manifestazione mortacci loro”, ma soprattutto: se sono pacifiche finiscono a pag. 20 di Repubblica, se diventano violente finiscono in prima pagina perché i violenti, i fascisti, gli scontri, i black block ecc. Questa volta, essendo Cultura, avrà il richiamino in prima, l’eco dura un giorno, massimo due e finisce lì.
2° perché in questo momento, la manifestazione sarà strumentalizzata dai Media di regime che la agiteranno come “la manifestazione degli operatori della cultura contro il governo dei buzzurri”; lasceranno anche parlare i rappresentanti delle varie categorie, i quali potranno anche specificare che è contro le leggi fatte da Francescini (160/2016), ma poi continueranno imperterriti per la loro strada. 

Scusate, ma io alle strumentalizzazioni di chi ha sostenuto e sostiene le politiche e i politici che ci hanno ridotto come ci hanno ridotto NON CI STO.
E con il vostro permesso me ne vado da Gero Grassi, a parlare di Aldo Moro. 

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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