DIDASCALIE
ovvero scritte esplicative di una realtà e di storie dei nostri tempi
A dispetto di quanto siamo stati educati a pensare, pur sembrando impossibile, l’unica via verso una cultura dell’uomo, è dimenticare il passato, atto che occorrerebbe alla nostra volontà, abbandonando ciò che ci tiene prigionieri della sofferenza, ostaggi dei pensieri. Dimenticare è ogni ombra che ci accompagna nel nostro percorso di esseri umani, tesi ad evolversi, anche inconsapevolmente. Se educare vuol dire rivelare la personalità del discepolo, probabilmente è giunto il momento di cercare veri “maestri”, rappresentati da quei valori cui raramente si fa appello. La nostra evoluzione è connessa a fattori esterni, presenti nell’ambiente, ai quali ci adattiamo modificando i nostri comportamenti o elaborandone di nuovi. Ne deriva che l’educazione è una “strategia” che l’uomo ha escogitato per la sua evoluzione. Cosa potrebbe accadere se usassimo questa strategia, orientando la nostra vita a dimenticare ciò che ci rende sofferenti? Se decido di dimenticare un conflitto con una persona o una situazione, orientando la mia volontà a fare di questo un’esperienza positiva per la mia evoluzione, assumendomi il compito di “andare verso l’altro”, cosa potrebbe accadermi se non il bene? E se sapessi consapevolmente che questo bene si espande come i cerchi concentrici del sasso gettato nell’acqua?
Nessuno sembra accorgersene ma l’epoca che in cui viviamo è il Medioevo. Così la nostra vita scorre impotente sotto il controllo dei Signori feudali e dei Principi che elargiscono regalie o elemosine, serbando per se stessi privilegi finalizzati al mantenimento di uno status dal quale sono necessariamente esclusi i servi della gleba. Mentre vassalli, valvassini e valvassori corrono affaccendati nei loro affari di Palazzo, impegnati ad escogitare sistemi di pensiero unico , inventare nuovi inganni per tenere a bada gli ultimi gradini della piramide feudale. Così, il vassallo minore riceve protezione dal vassallo nella gestione dei “territori” e degli incarichi amministrativi, giurando, ovviamente, fedeltà ed obbedienza (fatti salvi eventuali ribaltoni). Si riscuotono tasse, tributi e si elargiscono prebende tra la folla di schiavi ingannati ma uniti sotto bandiere di partito, soprattutto in occasioni elettorali dove, essendo già stabilito che i Principi Regnanti saranno gli stessi, si allestiscono tribune ove recitare la Commedia della Democrazia e arringare di demagogiche cause gli ultimi gradini sociali: artigiani, classe in estinzione, i piccoli proprietari, classe che ha sviluppato giustamente incisivi per mordere chiunque si azzardi a portargli via il poco; i servi della gleba, premiati con social card, termine moderno per indicare l’elemosina, evidentemente è più chic. Infine gli schiavi, coloro che, pur rimproverando ai Principi di avocare a sé ogni privilegio (basta dare uno sguardo al business della politica) si scannano ancora su “destra” e “sinistra”, per la gioia e la tranquilla malvagità dei briganti che si divertono alle spalle di tutti. Oh, il popolo! Dov’è? C’è sempre stato, ma l’epoca della Modernità deve ancora arrivare. Intanto si disserta sulla Democrazia e si imbastiscono letterature sugli Ideali dell’uomo. Mentre i privilegiati fanno affari.
Rimettere al centro degli interessi l’umanità dell’azione economica e del lavoro, dovrebbe ormai rappresentare il vero obiettivo politico, dal momento che il crescente condizionamento dell’economia sulle decisioni collettive, esige una riflessione etica. Ma il lavoro, ha un ruolo centrale nella vita sociale? Dove si annidano le questioni più significative della democrazia economica, se non nella responsabilità sociale dell’impresa? Con il marketing dell’immagine, oggi, il rischio è di far passare come etico anche il cinico, che ha, in realtà, il solo scopo di trarre profitto o mascherare di paternalismo sociale o capitalismo compassionevole, il vero problema che vive nella realtà e che è legato alla partecipazione dei lavoratori alle sorti dell’impresa, dove sociale, etica pubblica e sostanza della democrazia economica, potrebbero essere ben coniugate.
Qualcuno ha detto che la conoscenza è l’antidoto della paura. Riflessione più che mai vera in un’epoca come la nostra, che vive quotidianamente assediata e soggiogata da essa. C’è un modo per sconfiggerla? C’è un modo perché il miglioramento collettivo torni ad essere il fine, il modello che ispiri la cooperazione e renda naturale la condivisione della cultura, della conoscenza, del sapere? Se la conoscenza ci rende liberi, quali sono i luoghi nel quale sarà possibile conquistarla? Forse, dovremmo diventare protagonisti del nostro tempo, diventare più attenti e meno disponibili al vuoto culturale del quale siamo permeati. Nessuno potrà mai riconoscerci il diritto all’evoluzione, nessuno potrà mai svolgere per noi la riflessione interiore, perché la capacità di vivere il nostro presente attimo dopo attimo è un dono che appartiene a noi stessi e che troppo spesso ci neghiamo o ci facciamo derubare, illudendoci di poter trovare fuori ciò che rende la nostra vita degna di essere vissuta. Nell’avventura dell’esistenza, ciò che diventa fondamentale non è la paura, benché se ne abbia, ma diventare consapevoli che arricchirsi dipende molto dal riconoscere nei nostri simili i compagni di un percorso, con i quali condividere l’esperienza della conoscenza che sta nel rivelarsi come essere spirituali anzitutto. Perché niente, nessuno e nessun luogo ci apparterranno mai veramente, se non li avremo trovati nella nostra anima.
La democrazia è un’abitudine. È certezza e garanzia di un sogno astratto che vive nella realtà quotidiana. Non potremmo altrimenti spiegarci perché molto accade malgrado il popolo. Perché mai esercitare un diritto, quello di voto, delegando chi non si conosce? E perché dovremmo averne fiducia? Soprattutto: perché, quando la nostra fiducia è stata tradita, continuiamo a votare gli stessi referenti? La democrazia è una nostra responsabilità, un impegno con la nostra onestà e i nostri ideali; l’identità che abbiamo scelto, nella convinzione che è l’unico sistema nel quale ci sentiamo garantiti. Ma chi, dovrebbe garantirci? Noi stessi, ritrovando lo spirito critico del quale siamo capaci, informandoci sempre, per sapere ciò crediamo di sapere ed invece è altro, che ci sorprende come il coniglio che esce dal cilindro. Pensavamo di aver dato il nostro consenso per qualcosa e invece è altro. Se democrazia è governo di popolo, non dovremmo mai dimenticare di esserne i diretti protagonisti, rifiutando di rappresentarci come comparse di un film, dove attori e registi sono sempre gli stessi, con scene e dialoghi che non cambiano mai.
La città manda i suoi rumori abituali e il caos delle strade ci fa desiderare forse, di tornarcene in fretta alla calma protettiva di casa. Siamo presi da mille pensieri, tutti rivolti alla nostra vita, ai nostri problemi, ai nostri sogni, grandi o piccoli. Non pensiamo ad altro. La nostra solitudine ci è cara più di ogni altra cosa. Ma la solitudine ha mille volti, mille strane sfaccettature di cui non ci accorgiamo. Perché la solitudine degli altri è qualcosa che non ci appartiene. Non ci domanderemo il motivo, quasi mai, dato che alla nostra, di solitudine, abbiamo fatto il callo, disabituati alla dimensione della socializzazione. In poche parole, siamo molto più chiusi di quanto possiamo immaginare. O forse potremmo pensare che un saluto o un sorriso, ci bastano a farci sentire esseri sociali?
Potremmo pensare che l’ingiustizia possa essere soltanto, astrattamente, la negazione della giustizia come mancata applicazione dei suoi criteri. In realtà essa scaturisce da ciascuno di noi, quando prevalgono sentimenti che negano i diritti degli altri, quando, al nostro, subordiniamo tutto il resto. E se a livello individuale ciò può tradursi con l’intolleranza, l’egoismo o la violenza, le nazioni ed i popoli più potenti, più ricchi, più sviluppati organizzeranno la propria politica e la propria economia secondo i propri interessi, seguendo il dettato diabolico della sopraffazione, della prevaricazione, della persecuzione. Se questo può rappresentare l’espressione che pone in essere le modalità per muovere una guerra, cosa accade quando azioni e reazioni coinvolgono gli esseri umani nella quotidianità?
Vita, morte e aldilà. Misteri che hanno sempre circondato gli uomini. Molti hanno cercato di dare risposte, altri hanno stimolato domande. Così le leggende, i luoghi e gli eventi sono diventati il regno dove tutto è possibile. Il mito, l’eroismo e l’occulto sono entrati a far parte del paradigma della vita, come riferimento essenziale per poterci dare una risposta, per poter fare supposizioni ed ipotesi sui misteri che avvolgono l’umanità. Alcuni restano scettici, altri hanno trovato certezze. Sono molti a concordare che il 2012, sia un mistero ormai svelato. Gli Angeli ci rassicurano, prospettando quell’anno come inizio di una trasformazione, una sorta di Era della Spiritualità; antichi testi, tramandati e studiati, annunciano una catastrofe che ingoierà la Terra, lasciandola “pulita” e trasformata di tutto. I Demoni ridono delle nostre paure, oppure hanno essi stessi il tempo contato? Chissà…
Finché c’è la salute c’è tutto. Così dicevano i nostri nonni nel volerci comunicare una saggezza tramandata da secoli per indurci a una visione ottimistica della realtà. Oggi sembra invece uno slogan del quale il marketing si è appropriato per indurci a “stare in salute”. Perché siamo tutti potenziali clienti dell’industria farmaceutica, acquirenti di cibi di dubbia origine in ogni settore: pasta con il grano made in Cernobyl, formaggio agli escrementi di topo, cibi alla diossina, alimenti inquinati provenienti da terreni inquinati, fragole coltivate in discariche… qualcuno dovrà spiegarci, prima o poi, se anche i proverbi fanno parte di una élite che, potendoselo permettere, problemi di salute non ne ha. Il dio danaro è massone, il resto del mondo è schiavo.
Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell’abisso, inferno o cielo non importa. Giù nell’ignoto per trovarvi del nuovo
Quindi mi state dicendo che la globalizzazione, migrare e accettare le migrazioni, la privatizzazione di tutti i servizi pubblici, l’obbligo di ridurre il debito dello stato, la cancellazione di tutele e la diminuzione dei salari, la disoccupazione e la precarietà del posto di lavoro, etc. sono tutti fenomeni sui quali non si può fare niente, che sono ineluttabili dati di fatto oggettivi, di fronte ai quali dobbiamo adeguarci e diventare più competitivi, cioè più disposti a farci sfruttare, mentre invece potremmo cambiare il clima del pianeta?