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La pazzia, una meravigliosa pazzia

La pazzia, una meravigliosa pazzia, lontano da quella vischiosa coscienza sociale di una realtà omologata e omologante in cui tutto è già programmato, o peggio ancora, suggerito.

Nessuno penserebbe di tenersi (a parte i collezionisti e gli amanti del settore), un vecchio Motorola anni 90 come il mitico D460. Allo stesso modo ci liberiamo di vecchie illusioni per fare spazio ad altre più recenti e innovative, al passo con i tempi. Nuovi leader si affacciano sulla scena politica a vendere nuove speranze e inedite credenze. Ci spingono nel gregge, vogliono fortemente che si diventi moltitudine, incapaci di autodeterminarci, pronti a rovistare all’esterno quello che dovremmo cercare dentro noi stessi. Fino a quando non riusciamo a sentire l’uniformità o il conformismo sociale come un fatto assolutamente “naturale”. Non c’è altro che quello, una realtà esterna con cui identificarsi, a tal punto, da non riconoscere nessuna caratteristica individuale. Anzi, questa, è solo un orpello fastidioso, con la conseguenza che ogni comportamento non sarà più dovuto a una scelta individuale ma a regole predefinite, le quali possono essere consentite o stigmatizzate. Del resto, ogni situazione, ogni ambiente, tende a conservare un proprio ordine sociale, imponendo in modo implicito o esplicito regole, norme e sanzioni.

Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita. (Alda Merini)

Meglio esser pazzo per conto proprio, anziché savio secondo la volontà altrui

di Maria Teresa Falbo

A dispetto di quanto siamo stati educati a pensare, pur sembrando impossibile, l’unica via verso una cultura dell’uomo, è dimenticare il passato, atto che occorrerebbe alla nostra volontà, abbandonando ciò che ci tiene prigionieri della sofferenza, ostaggi dei pensieri. Dimenticare è ogni ombra che ci accompagna nel nostro percorso di esseri umani, tesi a evolversi, anche inconsapevolmente. Se educare vuol dire rivelare la personalità del discepolo, probabilmente è giunto il momento di cercare veri “maestri”, rappresentati da quei valori cui raramente si fa appello. La nostra evoluzione è connessa a fattori esterni, presenti nell’ambiente, ai quali ci adattiamo modificando i nostri comportamenti o elaborandone di nuovi. Ne deriva che l’educazione è una “strategia” che l’uomo ha escogitato per la sua evoluzione. Cosa potrebbe accadere se usassimo questa strategia, orientando la nostra vita a dimenticare ciò che ci rende sofferenti? Se decido di dimenticare un conflitto con una persona o una situazione, orientando la mia volontà a fare di questo un’esperienza positiva per la mia evoluzione, assumendomi il compito di “andare verso l’altro”, cosa potrebbe accadermi se non il bene? E se sapessi consapevolmente che questo bene si espande come i cerchi concentrici del sasso gettato nell’acqua?

La pazzia secondo Foucault

Che rapporto c’è tra la psichiatria e la follia? A sentire Foucault un rapporto perverso, essendo la psichiatria una scienza nata non per curare la follia, ma per mettere la società al riparo dalla follia, segregandola un tempo nei manicomi e oggi nel chiuso dei corpi sedati dalle pillole. Non era questo l’intento di Pinel che nel 1793 inaugurò a Parigi il primo manicomio, liberando i folli dalle prigioni, in base al principio che il folle non può essere equiparato al delinquente. Con questo atto di nascita la psichiatria si presenta come scienza della liberazione dell’ uomo. Ma fu un attimo, perché il folle, liberato dalle prigioni, fu subito rinchiuso in un’altra prigione che si chiamerà manicomio. Da quel giorno incomincerà il calvario del folle e la fortuna della psichiatria. Se, infatti, passiamo in rassegna la storia della psichiatria, vediamo emergere i nomi dei grandi psichiatri, mentre dei folli esistono solo etichette: isteria, astenia, mania, depressione, schizofrenia. La storia della psichiatria, scrive Foucault, è storia degli psichiatri, non storia della follia. E poi la follia è davvero una malattia o non piuttosto una delle tante forme della condizione umana? Probabilmente la follia esiste ed è presente in noi come la ragione, e una società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece la nostra società incarica una scienza, la psichiatria, per tradurre la “follia” in “malattia” allo scopo di trasformare l’irrazionale in razionale. Infatti, come ci ricorda Basaglia, quando un folle entra in ospedale o in terapia cessa di essere “folle” per trasformarsi in “malato”. Diventa razionale in quanto malato. Ma la depressione, la mania, la schizofrenia sono davvero malattie come l’ulcera, l’epatite virale, il cancro? O il modo di essere schizofrenico è così diverso da individuo a individuo e così dipendente dalla storia personale di ciascuno da non consentire di rubricare storie e sintomi così diversi sotto un’unica denominazione? L’ansia di accreditarsi come scienza sul modello della medicina ha fatto sì che la psichiatria trascurasse, senza curarsene, la “soggettività” dei folli, i quali furono tutti “oggettivati” di fronte a quell’unica soggettività salvaguardata che è quella del medico e del suo sapere. Quello che per un Greco antico era un “invasato dal dio”, per un medioevale un “posseduto dal demonio”, per la scienza psichiatrica è un “malato”. Come da noi Basaglia, anche Foucault in Francia, perorava la causa della chiusura dei manicomi, ben sapendo che non bastava per porre fine alle vite bruciate tra le sue mura, silenzioso olocausto consumato nel nome della scienza, per ottenere dalla società una rivisitazione dei suoi rapporti con le figure della follia e, più in generale, del disagio. A ciò si deve aggiungere che la scienza oggi si è fatta più esigente, più asettica, persino più pulita, anche se decisamente più invasiva di quanto non fosse l’ istituzione manicomiale. Oggi a essere minacciata è la società come istituzione totale, dove troppi individui, nel tentativo di gestire al meglio i propri umori, preferiscono, alla relazione sociale, il ricorso quotidiano alle pillole, fino a trasformarsi in robot chimici sempre all’altezza delle loro prestazioni nel cupo silenzio delle loro anime. Gli scritti di Foucault, raccolti in Follia e psichiatria, sono stati composti tra il 1957 e il 1984, anni in cui la difesa dei diversi, dei folli, dei soggetti più deboli, era un’atmosfera diffusa, come non sembra sia oggi nella nostra cultura che si sta rivelando sempre più sensibile a rapporti di forza che a rapporti di sostegno. Che sia questa la premessa per cui la follia, e la disperazione che sempre l’accompagna, trovano un terreno favorevole per dilagare? (link)

Umberto Galimberti

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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