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Il partigiano che volle farsi cavaliere del Vento

Luigi Andrea Martinetti, vissuto per la libertà

L’incontro fantastico fra un partigiano e una donna di oggi      

di Maria Teresa Falbo

In una fredda serata d’inverno a Genova, un partigiano racconta che… uno strano e curioso incontro.

E’ tornato il freddo all’improvviso. L’unica volta che il meteorologo non sbaglia ed io, non ci bado. Esco con la giacca… la fermata dell’autobus è deserta, ho fretta di tornarmene a casa. Avverto una leggera tensione che cerco di mitigare accendendo una sigaretta. Una caramella sguscia da dentro la borsa e me la tuffo in bocca, come una manna benedetta che mi placa la fame, mentre gli occhi roteano intorno, vigili. Sono già passati dieci minuti abbondanti, accendo un’altra sigaretta. Via Avio, tanto trafficata di giorno, sembra una strada sconosciuta e sinistra di periferia, che scaccia il disordine soffiando via le cartacce dall’impero dei suoi angoli, dei suoi muri vissuti, imbrattati qua e là con scritte da tifoserie domenicali. Mi sto abituando all’alternarsi di vetture, talvolta indovino il tipo dal  rumore del motore, lo faccio sempre questo gioco. Ho una passione per le macchine, non amo guidare ma potrei riconoscere una Fiat Panda e distinguerla da una Renault o una Citroen Picasso. Cerco di distrarmi, si sta facendo tardi e il gioco delle macchine quasi quasi mi innervosisce. Un ragazzo si sta avvicinando alla fermata; viene da via Molteni, ha una giacca anche lui e un berretto da graduato dell’aeronautica. Meno male, qualcuno che mi impedirà di sorvegliare la strada da sola. Cerco di contenere il sollievo, non desidero mostrare l’inquietudine  placata dal suo arrivo.

Potrebbe essere scambiata per un’avance, perché lo saluterei come un vecchio amico. Ma il suo esitare mi mette al riparo da giustificazioni. Lo osservo rapida, ogni tanto. Lui avanza con discrezione. Ha un fare riservato e accenna un saluto toccandosi la visiera con due dita, da soldato. Ho sempre subito il fascino della divisa e non mi sfugge che è un sottotenente dell’aeronautica. Un lieve sorriso sulla sua bocca mi spinge alla conversazione: “Sottotenente, vero?” osservo puntando il dito verso di lui -“Brava, si intende di  divise?” “Accipicchia, sono la mia passione!”. Vorrei aggiungere che a lui sta indosso magnificamente ma scaravento le parole sotto i denti, con la caramella. Lui mi osserva quasi divertito, come se avesse intuito. Si fa un po’ avanti. Ha due splendidi occhi. Non riesco a vederne il colore ma sembrano sorridere, tutto il suo volto è un mare di dolcezza. E’ bello e molto giovane. “Torna a casa?” mi chiede. “Si, se il bus mi fa la grazia di arrivare… anche a lei dovrebbe, immagino”. “Diciamo che aspetto arrivi il suo, così starà più tranquilla. No?”  Mi lascia senza parole; tanta gentilezza uno non se l’aspetta. Il bello è che non penso minimamente che sia un modo per agganciarmi. Non so, mi ricorda qualcuno e questo mi fa sentire al sicuro. Gli porgo la mano, mi presento. Nel porgere la sua, si china leggermente verso di me, portandosi la sinistra sul petto: “Luigi Martinetti”. “Ho già sentito questo nome anzi, lo conosco bene. Ho abitato in un corso Luigi Andrea Martinetti. Parente?” “Sono io”. Lo guardo interrogativa, non ho capito e me lo ripete: “Io sono lui, Luigi Andrea Martinetti”. C’è una sincerità inafferrabile tutto intorno. Il fatto è che non sono stupita, non penso ad uno scherzo e non ho paura. Il bus fende la strada buia con i suoi occhi gialli. Apre le porte davanti a noi ma nessuno sale.

La curva lo inghiotte mentre ci guardiamo. Senza dire nulla ci incamminiamo verso piazza Vittorio Veneto. Non so cosa stia accadendo e non so perché proprio a me, ma lo seguo così come potrei farlo con qualcuno che conosco bene. L’aria si è fatta più fredda. Non ci bado. Penso che vorrei abbracciarlo, perché ho letto la sua storia e so della sua vita. Ma questo non è dettato da un senso di gratitudine o di dispiacere. Il mio abbraccio vorrebbe essere un segno tangibile della sensazione che mi sia toccata una specie di grazia: “Perché io?”, chiedo.“Perché no?”, dice lui. “Sai, avevo qualcosa da dire, prima di morire. E’ un pensiero che mi girava per la testa come un’ape nella corolla di un fiore. In questi anni è stato soffocato da considerazioni che apprezzo ma che non rispecchiano il mio gesto. “Che vuoi dire?” Chiedo, intuendo un lieve sofferenza nella sua voce, bella e profonda. Ha una impercettibile erre alla ”francese”. Mi racconta  molti particolari di quel giorno, a Parodi Ligure. Fucilato, con molti altri.  E’ pacato e non sembra avere emozioni: “Non potrei averne. Le entità sono solo spirito ed io non ho un corpo da far vivere. Qui, ora, sono solo uno strumento per poter dare un messaggio. Dopo, continuerò ad esserci ma in un’altra dimensione”. Siamo arrivati sotto i portici di via Cantore. Deboli luci dipingono la sua bella faccia da attore americano. “Siete davvero singolari, voi esseri umani…”  Rimango in attesa delle sue parole, mi accorgo di avere la bocca quasi aperta. “Vedi – prosegue lui – il guaio è che c’è l’abitudine di rendere tutto strumento di qualcosa e questo finisce col distorcere la realtà. Gli uomini hanno idee, valori, sentimenti che vivono di vita propria ed è quanto mai arrogante pretendere di avere ciascuno la Verità in tasca, giudicandoli. Il giudizio nasce dalla sofferenza e finché non vi renderete liberi dalla prigione delle sovrastrutture e dalle paure, rimarrete sempre legati a ciò che, senza saperlo, vi rende schiavi ogni giorno: odio, rancore, menzogna”. Ogni sua parola sembra alleggerirmi. Da quanto tempo soffriamo senza accorgercene, senza saperlo? Ci costruiamo la nostra gabbia e conosciamo solo quella. Tutto il resto ci spaventa. Vivere si trasforma in sopravvivenza. Homo homini lupus, l’uomo è lupo per l’altro uomo. Sembra leggermi dentro, Luigi, e così è. “Sono felice che altri mi ricordino e conoscano la mia vita ma non sono un martire, non ho mai voluto esserlo né mi ci sono sentito. Era l’alba del  primo settembre del ’44. Il mio destino stava per compiersi. Un vento docile prese a passarmi fra i capelli; cominciai a rincorrerlo muovendo la testa.

Non avevo più memoria di niente, non avevo pensieri. Sentii  il coraggio crescermi dentro  e seppi di colpo chi ero e che ero fatto anche di volontà, di forza, di amore. Non mi importava morire, ora che i miei ideali erano diventati carne e sangue. Non avevo scelto di essere partigiano per passare alla Storia ma per incontrare la mia storia, la mia stessa vita. Per imparare a comprendere che ciò che è importante è come si vive, non già come si muore. Se questo lo avesse, non insistereste a massacrarvi. Nei misteriosi disegni del destino, ciascuno ha un compito privilegiato per se stesso e per gli altri, del quale dovrebbe diventare consapevole. Io lo compresi quel mattino, in un attimo. Avevo scelto, e in questo stava il senso della mia libertà. Il vento si fece più forte. Ero stato il servitore della mia vita ed ora, la vita diventava serva di me stesso, tornava a me, piena e chiusa in un pugno di secondi, in cui desiderai  soltanto di essere il vento intorno a me, e ci  cavalcai dentro, senza paura”.

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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