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Posh, e ci offrono una miseria

Perché non tutti sono fortunati abbastanza per essere eleganti

Posh è una nuova produzione tutta al femminile guidata (sembra) da Hannah Murray, attrice inglese famosa per aver interpretato il ruolo di Gilly nella serie televisiva Il Trono di Spade . L’attrice, in un’intervista, dice che “si tratta di un’interessante opportunità per esplorare e indagare la natura del privilegio, un argomento di cui c’è un’urgenza crescente di esaminare e discutere”. Aggiunge, inoltre, “lavorare con tutto il cast al femminile non è qualcosa che accade spesso”. La produzione, diretta da Cressida Carre, è stata annunciata lo scorso anno e sarà rappresentata prossimamente al Teatro Pleasance a Londra. Lo spettacolo segue una versione romanzata del Bullingdon Club. Una versione cinematografica, Posh, è del 2014 con Freddie Fox e Douglas Booth.


Si vuole, qui, segnalare un articolo (in lingua inglese) scritto da Jess Gow, un importante e conosciuta, direttore di scena teatrale che ha lavorato nel settore per 15 anni.

Non riguarda in modo specifico il personale artistico, bensì tecnico. La Gow, rende evidente la sua incredulità di fronte ad una società di produzioni che intende nel difficile e fondamentale compito di direttore di scena offrire un salario di £ 250 a settimana da lei ritenuto alquanto misero. E’ un argomento questo, che in Italia si affronta di rado. Non riguarda soltanto il mondo dello spettacolo dal vivo, ma molti altri settori.

Quando e come una retribuzione può essere definita congrua. E’ possibile stabilire il giusto stipendio e il suo conseguente potere d’acquisto? Quali i parametri? Certo ci sono ruoli e compiti diversi per importanza e responsabilità, ma è necessario per tutti guadagnare in modo dignitoso per coprire le spese di bollette, affitto, questioni fiscali, pensione, assicurazioni, cibo, e non meno importanti viaggi e divertimenti. Capire se e quale sia il salario corretto è sempre più difficile. Da un lato perché l’offerta è spesso nebulosa, dall’altro perché molte volte non si considera il peso dell’inflazione che ogni anno erode parte del potere d’acquisto.

Ci sono stipendi incredibilmente alti, che arrivano a € 600.000 il mese. Un ex giudice costituzionale dal 1996 al 2005, intervistato su Radio24, alla trasmissione “24 Mattino”, parlò degli stipendi dei suoi colleghi. Stipendi che vanno dai 549 mila euro del presidente ai centomila euro di un componente del collegio. Cifre da capogiro. Si tratta di “retribuzione congrua” sosteneva, perché “la legge costituzionale 153 dice che non può essere inferiore a quella del più alto magistrato della giurisdizione ordinaria”. “Noi non possiamo cumulare nient’altro, quindi per garantire l’autonomia del giudice è giusto che guadagni in modo da essere indipendente e non a rischio corruzione”. Francamente, agli occhi di un lavoratore comune, qualunque cosa faccia, è una motivazione piuttosto singolare. Cioè, “ti do un mucchio di soldi per evitare che tu possa essere tentato di fare il cattivello”. Rischio corruzione, questo vuol dire. Eppure si parlava tanto di sprechi e di spending review, (oggi non se ne parla più) ma guai a colpire la macchina della Consulta, evidentemente. E pensare che i giudici italiani guadagnano il triplo dei colleghi statunitensi e il doppio dei giudici britannici. Poco importa. Così come conta poco che le toghe usufruiscano di una serie di benefit pagati dallo Stato: dalle auto blu agli sconti per i trasporti di ogni tipo, dal cellulare al PC portatile fino alla foresteria.

L’autrice dell’articolo si chiede giustamente, chi, con quel salario, sarebbe in grado di accettare questo ruolo senza cadere nella povertà? Che tipo di persona, che vive a Londra, sarebbe in grado di lavorare su questo spettacolo, senza prendere in considerazione un secondo lavoro, per vivere comodamente? La risposta è, ovviamente, dolorosamente prevedibile. E se qualcuno dovesse chiedersi, “lo facciamo per amore del lavoro” “perché ci piace” o cose del genere, suonerebbe ancor più crudelmente ironico data l’importanza del tema che lo spettacolo intende affrontare.

Di solito, di fronte ad argomentazioni del genere si risponde sempre qualcosa del tipo: “se paghiamo la gente correttamente non saremmo mai in grado di mettere in scena lo spettacolo, le spese diventano eccessive”. Ed è proprio questo che preoccupa. Tutto ciò porterà a smantellare lentamente ma sistematicamente tutto il settore dello spettacolo dal vivo e in senso lato tutto il nostro Paese. Hanno spostato l’attenzione verso una classe di privilegiati, i quali hanno opportunità che gli altri nemmeno immaginano.  

E a proposito di Posh, la Gow termina con “Perché non tutti sono fortunati abbastanza per essere eleganti”. Già!!

Aggiornamento del 14 marzo 2017

Hannah Murray ha abbandonato la produzione imminente dello spettacolo Posh, per motivi personali. I produttori dello show lo hanno confermato affermando: “per motivi personali estranei alla produzione”. La Murray sarà sostituita da Serena Jennings. Sarà vero?

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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