globe theatre studio

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il teatro racconta sempre qualcosa partendo da memorie del passato o da fatti moderni. Il racconto per noi non è mai indagine o denuncia ma un atto creativo di una realtà e di un mondo

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Teatro, riforma e risorsa

Riforma, una modificazione sostanziale delle cose. Ma prima di parlarne volgiamo la nostra attenzione a un’altra questione tutto sommato molto semplice, che prende il nome di “risorsa”. Cos’è una risorsa?

E’ una domanda oziosa, ovvero inutilmente e scioccamente posta? A me non pare, tutt’altro! E neppure sbagliata, perché mai? Inopportuna forse, imbarazzante o inutile, ma non può essere considerata sbagliata. Una domanda è solo una domanda, la risposta può esserlo, questo si. L’uomo che pone delle domande, per dirla con il grande Milan Kundera “è il vero antagonista del kitsch totalitario”.

E’ innegabile! Il kitsch ha qualcosa di assolutista, pregnante e al contempo evanescente, ha fatto venire il mal di testa a non pochi intellettuali e filosofi, o chiunque abbia osato sottoporlo ad una attività diligente e sistematica di ricerca.

E’ un po’ come “l’opinione”. Avete presente? Cosa c’è di più naturale di un’opinione. E’ meravigliosa, un segno distintivo di personalità che ognuno cerca di sostenere a viso aperto e comportarsi in modo coerente ad essa. Io la penso in un modo tu in un altro, rientra nell’ordinario.

E’ normale per tutti noi formarci un concetto riguardo a particolari fatti, fenomeni e manifestazioni. D’altra parte, tra le grandi questioni che il mondo ci pone di fronte, mancano spesso criteri di certezza assoluta per giudicare quei fatti e dire qualcosa di sensato sulla loro natura, o capire con precisione quali siano le cause di questo o quel fenomeno.

In questo caso, non possiamo fare altro che proporre un’interpretazione personale da noi ritenuta esatta e a cui diamo il nostro assenso, ammettendo (rare volte secondo me ma i più bravi diranno sempre) la possibilità di ingannarci nel giudicarla tale.

Dunque, l’opinione pur nella sua veste democratica, nel suo abito elegante contiene in sé un “non so che” di invadente e dispotico con cui tende forzosamente ad imporsi; è nella sua stessa natura, è il suo fine e il suo “brand”.

I nani da giardino sono kitsch? Naturalmente si. La statuetta di Padre Pio lo è, di fronte alla quale, però, non è raro vedere una gentilissima signora inginocchiarsi e pregare.

Kitsch come ogni forma di souvenir, come i biglietti di auguri di San Valentino: “la tua pelle vellutata sa di cioccolatino, sei un fragrante biscottino. Buon san Valentino” e tanti altri luoghi comuni. Il kitsch (svenevole e patetico d’accordo) intende argomentare su accadimenti da cui poi ricavarne opinioni sicure. La presunzione, in sostanza, di descrivere fatti più o meno noti (il più delle volte solo immaginati) con l’aggravante (leggi mancanza) di creatività e originalità.

Questo, almeno, fino a quando quei fatti rimangono immaginati o poco conosciuti. Ciò non esclude, però, che quella “pelle” potrebbe avere realmente il sapore del cioccolatino per chi ha la fortuna di assaporarla e sentirne il profumo (ovvero un fatto da prima immaginato, diviene reale esperienza). Proprio come un’opinione sa fare. L’opinione (la nostra) non ha forse il gusto di un fragrante biscottino? No? Davvero? E quando scaraventiamo addosso a qualcuno una critica o un commento affilato e tagliente sul suo operato dichiarando candidamente che si tratta solo di un opinione e nient’altro? Cos’è?

Di opinioni intorno al teatro ed alle sue innumerevoli e mai realizzate riforme ce ne sono in quantità industriale. Prese, messe in busta e vendute un tot al chilo a prezzi decisamente vantaggiosi. C’è chi, con garbo, mette in evidenza gli “elementi molto forti della riforma che inevitabilmente andranno ad incidere sul sistema generale sia a livello economico organizzativo, sia sul piano prettamente artistico”.

Non sentite, in questa frase, la dolce fragranza del biscottino o sono soltanto io a sentirne l’odore intenso e gradevole. Non è così? Naturalmente non mancano commenti e interventi fortemente critici, e quando mai. Ma ciò che è interessante è che sono tutti li in attesa di capire bene la distribuzione delle risorse prima di poter fare una attenta valutazione. Si sistemano comodamente in poltrona, benevolmente disponibili a ricevere la “risorsa” da loro ritenuta “esatta” come l’opinione di cui parlavo poc’anzi.

Che dire poi dei segnali? Non del genere ottico – acustico, per lo più convenzionali, con cui si vuole comunicare, avvertire o nella maggior parte dei casi ordinare a una o più persone di fare o non fare qualcosa. No, parlo di quel segnale che sottintende una volontà; cioè, il soggetto uno afferma qualcosa e il soggetto due, nonostante non condivida quasi nulla, riesce a vedere in quello, un segnale, interpretato da quest’ultimo come una possibilità nuova di cambiamento, una evidente controtendenza da ciò che era in precedenza. Non è straordinario? Lo è, eccome! Che qualcuno mi dica se intravvede in questo creatività e originalità. Non ce n’è, eppure sorridiamo di fronte ai nanerottoli dei giardini. Non dovremmo allo stesso modo ridere di tali forme espressive e considerarle kitsch alla stregua della statuetta di Padre Pio?

Un piccolo consiglio: non sono solo i politici e gli economisti abituati a dire niente, ma anche quelli che comunemente chiamiamo “esperti conoscitori del mondo teatrale”. Quelli, per intenderci, chiamati a far parte di “commissioni ben qualificate per un lavoro serio da svolgere”.

Ascoltiamoli, e facciamolo con molta attenzione, e poi ripetiamo ben scandite lentamente ogni parola da loro pronunciata e ditemi cosa ne resta: niente, magicamente niente. Riescono a dire niente con la stessa naturalezza con cui (in quella serie di film dei “Pierini” degli anni ’80) Alvaro Vitali scoreggiava (di questa battuta non ho il copyright, l’ho sentita dire da un amico ma anche lui deve averla sentita o letta da qualche parte e come per una barzelletta è quasi impossibile citare la fonte). Eppure quella sua faccia buffa, difficile da dimenticare, lo rendeva in qualche modo simpatico. Loro sono fatti così, non puoi cambiarli, continueranno a sbobinare parole per riavvolgerle subito dopo su altre bobine e così via fino alla sera al momento dell’aperitivo e poi a cena con gli amici più cari, in una festa nel salotto buono della città.

Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro (citazione sempre del grande Milan Kundera).

Il Treccani definisce “risorsa” una “qualsiasi fonte o mezzo che valga a fornire aiuto, soccorso, appoggio, sostegno, specialmente in situazioni di necessità”. Questo presuppone l’esistenza di due “punti” attraverso i quali la “risorsa” si muove dall’uno all’altro. Di solito “l’uno” chiede e “l’altro” dà. E’ inutile qui, sottolineare che a chiedere sono in molti: anche gli alpini riuniti in associazione il cui scopo è la conoscenza e lo studio delle montagne lo fanno, ed è giusto che chiedano perché è una buona cosa la difesa del nostro ambiente naturale. Anche loro hanno una discreta necessità di risorse, senza le quali non possono fare quasi nulla. E chi potrebbe dire che le risorse (poche) a loro destinate siano mal spese? Forse no, non lo so.

Mi pare necessario, a questo punto, affinché non ci siano fraintendimenti dire che investire risorse è qualcosa di innegabilmente utile e farlo è doveroso, ma una riforma che per definizione è “trasformazione che dà forma diversa e migliore alla cosa che si vuole cambiare” non è necessariamente legata alle sue risorse.

Tagliare o incrementare sono si aspetti necessari, ma non obbligatoriamente sufficienti a dare, appunto, “forma diversa e migliore”. Posso avere a disposizione il legno più costoso e pregiato ed essere incapace di costruire una solida casa, oppure quella varietà preziosissima di ebano nero e con questo creare oggetti di lusso come i tasti di un pianoforte ed essere totalmente insensibile alla musica, la quale arriva alle mie orecchie come un fastidioso rumore.

Dovrei sentirmi in obbligo adesso, pronunciarmi su quale dal mio punto di vista potrebbe essere la soluzione e svelare l’arcano; cioè, quale riforma potrebbe dirsi interessante, accettabile e rispondente alle aspettative di tutti. Non è semplice, anche perché in un contesto come quello attuale qualsiasi riforma sarebbe come un gioco a dama.

Le commissioni preposte al “nobile e duro” lavoro di fare riforme muovono i pezzi con l’unico scopo di “mangiare” quelli altrui. Infatti, per raggiungere l’obiettivo e conquistare la posizione devono necessariamente rimuovere ogni ostacolo “scavalcando” i pezzi catturati, i quali devono essere immediatamente rimossi dalla damiera. Insomma, fare piazza pulita. Non è una splendida metafora? E’ noto che la parola “dama” proviene dal latino “domina” ed indica il “pezzo sovrano”. E sovrane sono le commissioni costituite da “esperti conoscitori” il cui unico intento è vincere, per il bene del paese, ovvio.

Il vincitore è tale solo perché dietro di se c’è qualcuno che chiamano sconfitto, che se fosse una leale competizione non si sentirebbe sopraffatto. Al contrario, una volta varcata la linea d’arrivo stringerebbe la mano al vittorioso, riconoscendo a lui migliori performance e capacità, e a se stesso il coraggio di aver gareggiato fedele alle sue convinzioni, sincero e fiducioso. Un vincente, allo stesso modo. In passato, i vinti mai furono resi schiavi ma onorati in ogni contrada del mondo.

Il punto è … c’è una gara a cui iscriversi e partecipare?

In ogni caso, visto che abbiamo parlato di opinioni e di risorse, proverò anch’io in un prossimo articolo a dire la mia su una possibile riforma del teatro che dovrà necessariamente (per evitare che diventi come il gioco della dama) partire da questo presupposto: e cioè, di una legge economica che si dà per irreversibile, obbligata e soprattutto autonoma da un discorso generale sull’uomo e sulla società. Di un’economia che nasce come strumento dell’uomo, al servizio della sua vita, delle sue costruzioni e tale dovrebbe essere.

Nella realtà si rinuncia a costruire civiltà ed effettivo benessere, inteso nell’equilibrio materiale-spirituale: si va contro l’uomo. E con l’economia, anche la tecnologia, lo sfruttamento energetico, lo sviluppo industriale, dovrebbero essere considerati e valutati sempre ed esclusivamente quale “mezzo” a disposizione dell’uomo, ad esso subordinati, e mai quale “fine”.

 

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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