Tutti abbiamo bisogno di denaro

Arte e Politica, ovvero come facciamo con i soldi?

Tutti abbiamo bisogno di denaro, tranne forse quell’antico filosofo che confrontandosi con il Re di Persia sosteneva che a lui non mancava nulla mentre quello non avrebbe mai avuto abbastanza di nulla; egli non sentiva la mancanza di quei piaceri, dei quali l’altro non poteva provare sazietà. Ma di questa gente non c’è più l’ombra.

Pochi mettono in discussione, l’importanza e meraviglia del teatro, ed è bello che ci sia ancora. Ma la domanda è: “esiste” davvero il teatro? O è una nicchia laterale della cultura contemporanea che non interagisce più con la sua crescita e le sue evoluzioni?

La notizia non è freschissima, ma attuale la questione di fondo.

I fatti!

In occasione dell’esposizione universale, Expo Milano Spa ha scelto di occupare il suggestivo Open Air Theatre nel sito di Expo Milano 2015 per ben quattro mesi di repliche (fino al 30 agosto) di “Alla vita!”, spettacolo del Cirque du Soleil, che ha dedicato uno show ai temi dell’esposizione, una sorta di inno alla vita nello stile che le è proprio, ossia attraverso un insieme di musiche, proiezioni e danze che si mescolano a cabaret e acrobatica. A sollevare tanta indignazione è stata in primis la cifra stanziata per lo spettacolo, costato 8 milioni di euro. Ha senso spendere 8 milioni di euro per un’unica produzione quando con quella cifra si salverebbero tanti teatri in crisi? Ma ciò che davvero è rimasto sullo stomaco a molti teatranti nostrani è il fatto che non si sia scelto di distribuire questo capitale tra le realtà italiane, che, come tutti, attendevano risposte e possibilità per mostrare e mostrarsi durante l’Expo.

Chiara la faccenda, no? E’ di soldi che si parla. Notare l’espressione “non si sia scelto di distribuire questo capitale” che è l’essenza del problema. E’ utile sapere, ora, che il Cirque du Soleil è una realtà unica e inimitabile, una grande azienda privata, fondata a Montreal nel 1984 da Guy Laliberté, che oggi conta migliaia di dipendenti (forse 3000 non so) che interpretano una media di 10/20 spettacoli in tutto il mondo in contemporanea. Il Cirque du Soleil è stato messo sul mercato qualche tempo fa dal suo fondatore, (venduto non so a chi) che ha mantenuto una sola piccola quota con l’obiettivo di continuare a fornire gli input creativi necessari per la crescita artistica del gruppo. Molti sostengono che nel Cirque du Soleil ci sia ben poca cosa che si possa definire teatro, ma è talmente stupida l’obiezione che non vale la pena di commentare.

La reazione a questo affare da 8 milioni di euro è stata più o meno del tipo: “ma era proprio necessario?”… “siamo a un film già visto!”… “è un paradosso”… “è una vergogna”… ecc. Robbetta così…

Paradosso? Parli di paradosso? Mamma mia bella! Expo, nutrire il mondo! Chi lo nutre, Ferrero, McDonald’s e Coca-Cola (per gli spazi espositivi hanno pagato 10 milioni di euro) con un barattolo di nutella, hamburger, patatine e un bicchiere di bibita zuccherata, tutto ben imbottito di olio di palma? Un paese stremato, stanco, dove ogni giorno chiudono decine di aziende e i giovani fortunati un lavoro precario da 600 euro al mese. Lo sciocco di turno a questo punto è pronto a obiettare, “ma che c’entra con il teatro?” Si d’accordo.

Ma non è finita qui. Un’attrice, Ilaria Drago, prende carta e penna e scrive una lettera:

La lettera

Spettabile Direzione Artistica, Spettabili artisti, Spettabili lavoratori tutti, amo la grandezza del Cirque du Soleil, le storie che racconta, i virtuosismi, i colori, la magia, le qualità professionali e non ultimo il fatto che non utilizzi animali in scena. Vi ho amato fin dalla prima volta che ho visto il vostro lavoro. Vi voglio però mettere al corrente di qualcosa che accade qui, nel nostro Paese, che forse non sapete, che mi auguro non sappiate! Siamo in tanti. Artisti. Teatranti, danzatori, poeti, performer, autori. Tanti davvero. E bravi! Siamo tanti professionisti che ogni giorno si trovano a lottare per non soccombere alla politica feroce che ci fa morti ogni volta che ci nega una sovvenzione, che non ci risponde al telefono quando presentiamo i progetti, che ci umilia tenendoci mesi se non anni a chiedere i cachet pattuiti per un lavoro realizzato. Siamo in tanti, bravi davvero, a non avere accesso agli spazi, ai teatri, ai progetti grandi. Figuriamoci a quelli internazionali! A dovere passare tantissimo del nostro tempo a tentare di fare quattro o cinque lavori insieme di cui non abbiamo competenza, invece del nostro, quello per cui siamo nati, abbiamo dato la vita, per il quale ogni giorno ancora ci svegliamo nella speranza di poterlo portare al mondo. Di poterlo vivere con dignità. Siamo tanti, davvero, e bravi! Ho trovato sconvolgente, un ennesimo atto di ignoranza e irresponsabilità da parte del nostro Paese, sapere che verrete a in Italia a Milano a Expo 2015 prendendo tanti e tanti di quei soldi che noi forse non riusciamo neppure a immaginare, tanti di quei soldi che forse non vedremo mai nella nostra vita! L’ho trovato sconvolgente e anche violento direi. Mi sono vergognata. Di noi. Del mio Paese! Non ho dubbi che il vostro magnifico talento e lavoro valga tanti soldi, vi vedrei per ore e giorni ed è indubbio che tre mesi di Cirque abbiano la loro necessità economica; ma è il gesto in sé, l’atto spietato del nostro Paese nei nostri confronti, noi suoi cittadini e figli, a sconcertarmi. È vero che a pagare sarà Expo Spa, ma “i suoi azionisti sono Ministero dell’Economia, socio di maggioranza, cui si sommano Comune e Provincia di Milano, Regione Lombardia e Camera di Commercio di Milano. Insomma, a pagare sono in larga parte i contribuenti.” I contribuenti sanno che il loro Paese ha una ricchezza artistica grande, tanto spesso a loro celata dal sopruso dei giochi mafiosi di un sistema avvelenato? Non so se loro lo sanno, ma noi sì sappiamo quel che paghiamo in termini economici e morali. In termini di fatica e invisibilità! Quello che mi turba ancora di più è immaginare che nessuno di quelli che ha scelto Cirque sappia dei talenti e delle ricchezze artistiche del proprio Paese e perciò abbia scelto con superficialità, senza porsi neppure il dubbio. Non dico di non ospitarvi, siete dei graditissimi ospiti, ma dico che dovremmo per lo meno condividere questa ricchezza economica – che evidentemente c’è quando si vuole! Dico che il Paese che ospita Expo dovrebbe avere il coraggio di mostrare quel che ha e se anche avesse poco dovrebbe avere il coraggio di mostrare quel poco che ha! Invece di fingere tra fumo, lucine, fuochi artificiali e giochi di magia, di essere tanto ricco! Se io sono davvero povero, non mi umilia mostrare i miei abiti dismessi al mondo, perché so che il mio valore è ben altro! E quindi siamo in tanti qui, in tanti artisti italiani bravi davvero, a chiedervi di mostrare quanto il valore della vostra Arte, della vostra etica e della vostra umanità sia grande! Siamo qui a chiedervi di mostrare quanto un evento artistico, seppur meraviglioso e di indubbio valore, non sia fondato sulla morte di centinaia di artisti italiani, anziché sul rispetto “Alla Vita”! Mi rivolgo direttamente a voi per chiedervi di non accettare l’invito ad EXPO 2015! Aspettiamo (io e credo tanti altri) fiduciosi una vostra risposta, sapendo anche che dicendoci di no, direte di sì alla corruzione, all’abuso, all’ignoranza, ai giochi mafiosi, alla povertà morale del nostro Paese. Sapendo che dicendoci no, direte sì alla nostra disoccupazione, perdita, svalutazione. E non sarà accettabile. Mi auguro di vedervi, in un’altra modalità o in un contesto diverso. Mi auguro di incontrarvi nella condivisione e non nella violenza dell’ “accettazione indebita”! Buon lavoro!

Anche questa, chiara e comprensibile, non è vero? Siete belli, bravi e buoni, (lo siamo tutti) ma quei soldi, tanti, troppi, mio Dio che vergogna! Dividiamoceli, un po’ a me un po’ a te qualcosa a lui, e perché no un po’ anche a loro. Avrei voglia di commentare parola per parola ma è inutile e piuttosto noioso, non serve a niente. Sarebbero pronti ad azzannarti la giugulare se solo qualcuno ci provasse. Razzista, fascista, cretino! Che c’entra questo? Niente, assolutamente niente, ma trovi sempre qualcuno pronto a darti del razzista appena apri bocca; “Scusi può parlare a voce più bassa con quel cellulare? Perché strilla?” Razzista che non sei altro, le mie orecchie sono come microfoni che captano ed amplificano i suoni, ma a volte il mio udito “si spegne” e poi sento un suono ad altissima frequenza. Che sarà mai? Non saranno mica gli alieni che cercano di contattarmi. Urlare al telefono è un diritto di tutti e lei non può negarlo. Mi scusi, prego continui pure.

Paradossale. Gli artisti, così preziosi nelle società contemporanee, eccoli con il cappello in mano come mendicanti sui gradini di una chiesa a chiedere un soldo di carità. E le ragioni di questa condizione sono forse legate alla incomprensione del ruolo che gli artisti svolgono in un società culturalmente avanzata? Possibile. Un fatto è sicuro: essi hanno scelto la comoda strada del vivere in famiglia confidando nella “paghetta” dello Stato-genitore piuttosto che imboccare la strada  dell’indipendenza e della libertà. Lo so, i soldi sono sempre soldi, che fai se non ce ne sono? E’ tanto difficile recidere il legame tra chi vorrebbe governare e lo fa attraverso il suo bilancio, e centinaia di migliaia di persone che si sentono di fatto dei dipendenti statali ne più ne meno di un cancelliere di tribunale.

Non credo di saper rispondere in modo convincente alla questione (oddio, proposte in tal senso ce ne sono e anche di buone) ma è certo che…

(brano riprodotto nell’articolo “Lo scandalo del teatro“)

Il sistema teatrale è quello del latifondo statale, accumulato da decenni di strapotere politico nella cultura. I Teatri Stabili (ma non solo) sono i re del latifondo: hanno progressivamente occupato tutti gli spazi possibili, hanno comprato tutti i circuiti, hanno assorbito le compagnie autonome fino a spadroneggiare indisturbate; dal circuito teatro-ragazzi alle serate di gala non c’è sala teatrale che non sia invasa e soggiogata dalla loro presenza. Feudi inaccessibili del potere centralizzato: né pagando un affitto, né proponendo un progetto, né suggerendo una collaborazione si riesce a sfondarne il cancello. Solo alcuni beati sono ammessi nel circuito degli spettacoli e al pubblico vengono proposti ogni anno sempre gli stessi gruppi artistici. E’ un latifondo statale e istituzionalizzato; è la proprietà collettiva organizzata e finanziata dallo stato, un sistema teatrale stalinista dal quale è bandita ogni libera concorrenza e ogni economia privata

E i cosiddetti “Amministratori della cultura”? (Assessori e Dirigenti pubblici) non perdono certo il loro tempo a distinguere l’arte dai rifiuti e spesso finanziano progetti astrusi, occasionali ed improvvisati proposti da Associazioni Culturali locali, dialettali, amatoriali, parrocchiali, “politicali”, senza badare al merito ne alla qualità dell’iniziativa. Gli Assessori che si affidano ad amici e parenti per stilare programmi al limite del reale: se il vicino di casa si diletta nel teatro dialettale ecco fiorire in città allegre commedie in dialetto, se la zia canta nella corale la domenica via ai concerti vocali a cappella, se il figlio ha una piccola band punk la piazza della città risuonerà di musica assordante. Il tutto incurante di un programma omogeneo o di una linea culturale. L’artista di professione, sia esso attore, musicista o danzatore, per vivere del suo lavoro investe in tempo e denaro tutte le sue risorse con anni di sacrificio: è evidente che eserciterà la sua arte in una dimensione economica. Nessun architetto farebbe progetti gratis e a nessun chimico gli si chiederebbero analisi di laboratorio per passione o per divertimento. Se vogliamo costruire un ponte ci rivolgeremo a ingegneri specializzati e a ditte affidabili che in cambio di denaro realizzeranno l’opera. Il denaro non è lo strumento del diavolo, è lo strumento dell’uomo moderno che realizza il proprio destino e manifesta le sue capacità. Ora non si capisce perché per organizzare un festival, una mostra o un evento culturale le Amministrazioni non si rivolgano a professionisti del settore ma si affidino spesso ad “associazioni senza fini di lucro” (formula così cara alle sinistre). Ma perché mai uomini e donne dovrebbero lavorare ed impiegare le proprie idee ed energie per non averne un utile? Forse per il bene comune? Forse per amore verso i beni artistici? I veri professionisti producono arte “per professione” e dunque in cambio di denaro. In uno stato liberale e libero la creatività, l’esperienza ed il lavoro hanno un prezzo. Sempre. Senza nulla togliere al loro nobile fine e alla loro nobile passione è scandaloso che gli spazi pubblici e i finanziamenti siano devoluti senza controllo ad attività di semplici passatempi da compagnia. Spesso le Amministrazioni danno addirittura i teatri in “gestione esclusiva” a questi gruppi tanto da farne feudi inaccessibili ad ogni altra iniziativa.

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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