Il teatro si fa così, preparandolo e soltanto uno stupido smette di farlo. Un bambino si esibisce in uno dei suoi frequenti capricci. Strilla e versa fiumi di lacrime circondato da adulti in apprensione. Sembra disperato, in realtà, con gli occhi appena socchiusi senza farsi scorgere per non rivelare le proprie intenzioni sbircia i grandi in quel loro stato di inquietudine derivante dal timore di chissà quale possibile male. Appena la loro distrazione glielo consente, certo che nessuno lo osserva, si guarda nelle ante a specchio dell’immenso armadio e nascostamente, maliziosamente ride, felice della sua libertà di recitare. Assapora quel piacere segreto, del potere cioè, di entrare ed uscire a volontà da quello stato, senza che genitori ed adulti, ciechi, possano mai sospettare la sua straordinaria capacità di distacco. Da quella posizione sente di controllarli e li tiranneggia senza rimorsi.
Ma un giorno il bambino smette di recitare. Dimentica. E quella maschera che una volta indossava a volontà, ora è diventata una smorfia permanente che governa tirannicamente la sua vita, non dispone più liberamente della propria volontà, delle proprie decisioni. Egli diventa realmente l’essere capriccioso, permaloso, debole, che stava interpretando, diventa un adulto fragile che può soltanto dipendere da qualcuno o da qualcosa: da un impiego o da una droga, dalla cattiva digestione, dal ritardo di un treno, dalla cattiva amministrazione, dal prezzo di un cappello, da te da lui dall’altro, dal consiglio d’amministrazione, dal quel “mercante in fiera” che chiamano Borsa finanza quotazioni azioni obbligazioni, dall’ufficio della sede centrale, dal partito, dal passato. In sostanza elegge il mondo a suo boss.