Una cultura del business culturale

Il business culturale. Ogni organizzazione, e chi si occupa di spettacolo in modo particolare, è costantemente impegnata in una ricerca di modi per migliorare e far crescere il proprio business. E’ opportuno parlare di business in un ambito artistico? Naturalmente sì, per quanto peculiare sia il terreno da coltivare!

Eppure, nel paese dove il patrimonio artistico non si conta, tante sono le opere di pregio, sparse in ogni angolo della penisola, tutto diventa notevolmente difficile e faticoso. Uno Stato, dovrebbe rendere quel terreno il più possibilmente fertile per ogni realtà che manifesta l’intenzione di investire in un modello di business (culturale) efficace. Efficace? O più semplicemente della produttività. Sostantivo femminile, in altre parole l’attitudine a conseguire un risultato superiore ai mezzi impiegati, specialmente dal punto di vista economico: più specificamente, il rapporto tra la quantità prodotta in una data unità di tempo e i mezzi impiegati per produrla, o il rapporto tra il prodotto e l’insieme dei fattori di produzione che hanno concorso a produrlo. Facile, no? Con una definizione cosi chiara è impossibile sbagliare. In realtà le cose non sono semplici. In cima alla lista dei desideri (e delle preoccupazioni) della maggior parte delle aziende (culturali e non, ma lo sono poi veramente?), c’è l’avere una forza lavoro impegnata a produrre qualcosa con il minor costo possibile. Non hanno la più pallida idea che cosa sia la consapevolezza di sé e il controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni. Non sentono per nulla la necessità di acquisire competenze sulle proprie vite, e tentare di cambiare il proprio ambiente sociale e politico.

Se scostassimo la tenda (ma solo un po’) sul sistema teatrale italiano, perennemente in crisi e per questo alla continua ricerca di denaro pubblico, aggravata dalla riduzione sia del Fondo Unico dello Spettacolo che del sostegno che possono garantire gli Enti Locali, che cosa, in sostanza, vedremmo. L’insufficiente capacità di coinvolgere nuove e più esigenti fasce di spettatori. Di conseguenza, tutto questo non solo si riflette sugli incassi, ma anche sulla possibilità che altri soggetti economici siano indotti a guardare al teatro come a un’opportunità d’investimento. Sul versante della produzione, cosa possono fare le grandi compagnie e i teatri, se non di cercare di minimizzare il rischio, spingendo cosi le programmazioni verso spettacoli considerati più sicuri, garantiti dai soliti nomi in cartellone, che non sorprendano in modo eccessivo.

Le imprese sono di fronte a molte sfide: nuove tecnologie, strategie digitali e la perdita di risorse a causa di una delle peggiori recessioni che il mondo abbia mai visto. Un pubblico (nel caso specifico dello spettacolo) sempre più difficile con un’infinità di proposte di spettacoli tra cui scegliere e la possibilità d’intrattenimento pressoché illimitato. Tutto questo richiede molta cura, la necessità cioè di assumersi una responsabilità, pronti a sfidare lo status quo. Non possiamo semplicemente dire di avere il potere creativo. Abbiamo bisogno di creare una cultura che permette, incoraggia e premia questi comportamenti, ma soprattutto le organizzazioni hanno bisogno di dimostrare di vivere e respirare questi valori.