Essere o non essere, la drammaturgia italiana

All’interno di una recensione di Enrico Bernard, delle considerazioni estremamente interessanti.

La drammaturgia italiana. Quello che qui presentiamo è una vecchia recensione di Enrico Bernard su un testo “Infinito Futuro”, scritto e diretto da Antonio Sanna, liberamente ispirato al “1984” di Orwell. Era il 2011. Lo facciamo perché al suo interno ci sono considerazioni molto importanti. 

Un fantasma si aggira intorno e dentro il Teatro Valle (il Fu) occupato: è il fantasma della  drammaturgia italiana.  Il dibattito interno al movimento di occupazione, un dibattito che ha peraltro assunto i toni di uno scontro più che del confronto costruttivo, ha tirato in ballo la questione della scrittura. Da un lato i fautori di una drammaturgia “essenziale ” in cui il testo dovrebbe dissolversi, annullarsi o tutt’al più porsi al servizio del deus ex machina, il Re-Gista superautores; dall’altro versante, invece, gli autori del teatro cosiddetto di <parola>, attestati  a difesa del loro lavoro sul linguaggio e sul testo.

La polemica è del resto obsoleta, datata, antica come il cucco, ed è pure stata risolta dalla Storia che fa il suo corso e impone un principio base per ogni tipo di drammaturgia: la sua riproducibilità nel tempo. Perché la dramaturgia non si risolve solo nella performance, nell’evento, nello spettacolo o nell’happening, se vogliamo usare un parolone. Essa, la drammaturgia, deve poter essere, come un esperimento scientifico, riprodotta e riproducibile  in altre condizioni, in altri tempi. E, in questo senso, alla fine prevale sempre la drammaturgia scritta, il buon vecchio copione, che è sempre esistito e sempre esisterà, magari sotto forma di canovaccio di cui ogni tipo di improvvisazione abbisogna.

Prova ne sia, ad esempio, la diaspora tra due grandi autori del Settecento, i due “Carlo”, Goldoni e Gozzi, il primo artefice di una Riforma autoriale del teatro italiano decaduto per i vizi e le facilonerie del “Teatro all’Improvviso”, il secondo teorico e teorizzatore della libertà drammaturgica attoriale e del canovaccio. Cioé di un linea drammaturgica in grado di creare il filo dello spettacolo lasciando all’espressività e alla fantasia dei “drammaturghi” in opera (gli attori) lo spazio e la possibilità di modificarne corso, interpretazione, addirittura mettendo in essere infinite varianti dello stesso prodotto teatrale, sera dopo sera.

Per continuare la piacevole lettura. 

http://www.saltinaria.it/recensioni/spettacoli-teatrali/infinito-futuro-teatro-dell-orologio-roma.html