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Il futuro del teatro

In una era digitale, è il teatro ancora la cosa giusta da fare?

Il futuro, come sarà? Che cosa verrà in seguito? Nicholas Negroponte, noto informatico statunitense, fondatore del MIT Media Lab, parlando degli ultimi suoi 30 anni di innovazioni, esperimenti, predizioni, ha detto “Al giorno d’oggi intendiamo l’educazione, ad esempio imparare a leggere, in questa maniera: consumare le informazioni tramite i nostri occhi, un canale fortemente inefficiente. Tra 30 anni da ora invece ingeriremo le informazioni, inghiottirai una pillola e saprai l’inglese. La pillola in questione rilascerà le informazioni direttamente nel flusso sanguigno per raggiungere velocemente il cervello ed essere quindi memorizzate”. Non male, potrei finalmente imparare il cinese in men che non si dica, meno del tempo di curare un raffreddore. Un racconto fantastico, buttato lì in modo troppo semplice e superficiale o una possibile tecnologia da sviluppare nel prossimo trentennio? Io, ovviamente non ne ho la più pallida idea, ma le domande hanno uno straordinario potere, possono annientare così come ridurci in un incredibile stato di prostrazione: per alcuni fonte di profonda angoscia, per altri un gran sollievo.

I “perché” e i “come” premono con forza, del resto è inevitabile, devo pur muovermi non posso restare fermo senza una decisione da prendere, una piccola scelta da fare. Fatalmente, mi si presentano offerte, proposte, possibilità da valutare osservare esaminare: e allora come un animale in gabbia dico che una tale condizione non è quella che mi aspettavo e nervosamente cerco il modo di uscirne. Ma questo non fa altro che rendere le sbarre della gabbia sempre più solide, provando al contempo e paradossalmente, l’inconsistenza e la falsità di un simile atteggiamento. Qualcuno ha mai incontrato persone che alla domanda – “Cosa non sopporti in una persona?” – non abbiano risposto: la falsità, l’ipocrisia, la mancanza di rispetto non tollero. Ma se tutti siamo cosi gentili e rispettosi non dovrebbe, questo paese, essere un tantinello migliore? Come mai questi difetti sono cosi diffusi se tutti sono concordi nel rifiutarli?

E il Teatro? Un’istituzione nel cuore delle culture del mondo da qualche millennio, ora affronta sfide senza precedenti in una società in rapida evoluzione. Tecnologie elettroniche e digitali hanno generato una serie di supporti, dai film 3-D al video crowd-sourced come YouTube per smartphone, che competono con il palcoscenico (e con altri mezzi di comunicazione tradizionali come libri, e tra loro) per catturare l’attenzione del pubblico. Le giovani generazioni cresciute nel bel mezzo di una cultura digitale potrebbero rivelarsi molto difficili da attirare in una performance teatrale dal vivo. L’intero concetto di divertimento è così confuso e diffuso allo stesso tempo che non siamo più sicuri di ciò che l’intrattenimento sia.  Non è solo una questione di tecnologie, ma è proprio un approccio mentale, la mentalità da “videogiochi”.

Metà della televisione ora è “reality”, dove normalissime persone vengono costrette alla ribalta a guardare in faccia il proprio deprimente fallimento. Votati per essere sbattuti fuori da un’isola è il nuovo dramma: è lì che viene generata tensione drammatica, piuttosto che dalle menti di scrittori, attori e drammaturghi. Immaginiamo di mettere in scena un classico in versi (ammesso che qualcuno abbia il coraggio e la voglia di farlo). Uno a caso, che so … l’Agamennone di V. Alfieri, per gli studenti, magari. E’ molto probabile vederli prima muoversi leggermente sulla sedia e poi piano piano guadagnare educatamente l’uscita. Chi li capisce i versi, oggi. Cosa dicono? Però … un momento, non è detto… in realtà, un’operazione del genere sarebbe quanto mai interessante da fare applicando proprio quella mentalità da videogiochi di cui sopra. Da pensarci… potrebbe funzionare.

Ho scoperto poi, che c’è un genere televisivo che ha invaso gli schermi di tutto il mondo ed è sbarcato da tempo anche in Italia. A saperlo non avrei perso una puntata!

Pochi conoscono il suo nome, ancora meno sanno esattamente di cosa si tratta. Eppure è lì, sotto gli occhi di tutti, riempie con i suoi programmi i palinsesti di moltissimi canali. Solo che non ne parla quasi nessuno e quei pochi che ne parlano lo scambiano spesso con il reality (tutto ciò che non si sa bene come classificare viene chiamato reality), anche se con il reality ha poco o nulla a che fare. Questo genere è il factual.

Ma che cavolo è il factual?

Si possono definire factual tutti quei programmi che raccontano la realtà (più o meno) così com’è, senza filtri, senza artifici, senza regole manipolatorie. Nei factual non ci sono i meccanismi “da gioco” dei reality o dei talent: non ci sono nomination, eliminazioni, giurie, regole e tutte quelle cose lì. Non si chiudono delle persone da qualche parte imponendo loro di fare delle prove buffe o assurde per guadagnare una porzione più generosa di cibo. Non ci sono aspiranti-qualcosa che si esibiscono sotto lo sguardo di capricciosi giudici sperando di diventare famosi in un qualche campo. In genere, non si vince addirittura nemmeno niente. Nei factual si punta lo sguardo su una porzione di realtà e ci si limita a osservare quel succede. In alcuni casi questa osservazione è, per così dire, “allo stato puro”, senza nessun tipo di intervento o interferenza esterna: è questo il caso delle cosiddette “docu”, che raccontano “in presa diretta” le vicende di una persona o di un gruppo omogeneo di persone.

Intrattenimento consegnato a buon mercato a un computer portatile o un palmare batte teatro su prezzo e convenienza.

Qualcuno sostiene che per il teatro è arrivato il momento di affrontare i suoi ormai non più prorogabili problemi, quello di rassegnarsi cioè, ad affrontare il mercato e imparare a competere, ovvero “lottar per riuscir superiore”. Un problema complesso e non di facile soluzione, ne abbiamo parlato e lo faremo ancora. Tutto deve essere determinato dal mercato? “Le grandi cattedrali d’Europa non sarebbero mai state costruite, Van Gogh non avrebbe mai dipinto, Michelangelo non avrebbe mai scolpito se si trattasse solo di “forze di mercato”. Si, d’accordo. Ma la domanda resta e richiede un approccio serio, riguarda la nostra vita , la cultura e la società in cui viviamo.

Il teatro del futuro come sarà dunque! Sarà qualcosa che coinvolge attivamente il suo pubblico e, probabilmente, rompe non solo la “quarta parete” ma le altre tre pure. Qualcosa si fa, Shakespeare in contesti insoliti come vetrine e chiese, letteralmente si prende il Bardo e lo si porta in piazza, ogni angolo del paese diventa palcoscenico, la stazione della grande città il luogo ideale per esibirsi. Accade già, quindi rimarrà sicuramente in vita in futuro: l’unica domanda è, in quali forme? La fame di narrazione dal vivo, per un’esperienza condivisa di attore e pubblico, può solo aumentare, soprattutto se e quando la gente si stancherà della perfezione confezionata di prodotti televisivi e cinematografici.

C’è una sorta di fragilità tremula in teatro, perché tutto può succedere, una sorta di mancanza di respiro. Questo lo fa grande, è questo che tutti gli altri non hanno.

 

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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