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Spazi in città o gabbie per matti?

la definizione di stadio come area di divertimento

Spazi in città che diventano effettivamente gabbie dalle quali è poi molto difficile uscire. Gli architetti hanno il potere di condizionare i nostri comportamenti e il nostro sentire dando una loro forma a questi spazi.

di Claudio Cavallo

Andreste mai a teatro, al cinema o anche al circo con un cordone di polizia che vi aspetta fuori e vi separa in settori differenti? Vi immaginereste a protestare in una tranquilla domenica, con truppe specializzate dei carabinieri in assetto antisommossa, intorno al Politeama o al Carlo Felice, contro una compagnia ospite a teatro? Aspettare di entrarvi, insieme a centinaia di persone, nonostante la massiccia presenza della polizia? Eppure una situazione del genere è considerata normale, quando si va a vedere un altro grande spettacolo: il calcio.

Entro allo stadio. A dieci minuti dall’inizio è già colmo, pieno in ogni ordine di posti (tra l’altro la gente continua ad entrare e fuori dai cancelli c’è una ressa come non succedeva da anni). Colori di bandiere festanti. Vado spesso a vedere partite, eppure nulla dà la dimensione di essere in un’arena in cui assistere e partecipare ad uno spettacolo sportivo. I settori ed i percorsi riservati ai sostenitori delle squadre ospiti sono separati da quelli della squadra ospitante, delimitati da reti e barriere. Si gioca una partita o una rappresentazione del terrore? In questo doppione dello zoo, umano, chi si sente “bestia” sta al di qua della rete. Tutto è diviso, protetto, sbarrato, vietato ai King Kong della domenica. Mi punge il vezzo, a questo punto, di porre una domanda: lei, paziente lettore, è mai stato chiuso in una gabbia?

Il problema è molto semplice e può essere così sintetizzato: se è vietato scavalcare gli steccati, sarebbe più utile innalzarli per scoraggiare chi li scavalca, o addirittura eliminarli? Se si eliminassero gli steccati, diventerebbe impossibile delinquere? Forse, i fenomeni di violenza sono anche originati dalla definizione di spazi ancora più violenti, non concepiti come aree di divertimento e di gioiosa partecipazione. La riflessione dovrebbe dunque orientarsi nella direzione di uno spazio “normale”. Tornelli e barriere, in realtà, non servirebbero, perché la vera battaglia si gioca fuori dagli stadi, in termini educativi. Anche nelle città, come negli stadi, c’è una lunga successione di spazi violenti, di steccati, di paletti, di impedimenti che non stimolano all’esserci, al conoscere ma alla diffidenza e all’esclusione. Progettare col fine di educare e non già coercizzare, è il segno di una civiltà a dimensione umana, dove reti e steccati, sono materia di agricoltura, di orti coltivati con cura.

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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