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Parla Roberto Cappuccio direttore artistico del Teatro Festival

Vi porto Nekrosius per tre anni e a prezzi popolari

(grazie gentilissimo)

Parla Roberto Cappuccio direttore artistico del Napoli Teatro Festival Italia 2017, stanco e affaticato per l’enorme sforzo sostenuto, alla domanda: “ma quanto costa il festival?” ci fa sapere che non lo sa, non se ne occupa. Poi l’annuncio. “Eimuntas Nekrosius, verrà a Napoli a lavorare con 20 attori che cercherà qui, e per due anni farà studio, per poi arrivare allo spettacolo del terzo anno che sarà da lui diretto con gli interpreti scelti. A proposito, gli attori che parteciperanno ai lavori di Nekrosius lo faranno gratis e saranno selezionati direttamente da lui attraverso un bando pubblico.”  Capito? Attori non pagati, sta diventando la normalità. Quel “a proposito” sembra alludere a una buona notizia. Ci siamo liberati del problema dei costi del lavoro degli attori.

di Vanni Fondi (dal Corriere del Mezzogiorno)

…. È (quasi) tutto organizzato. Tanto che si sta già lavorando alle prossime due edizioni. Un tour de force per l’autore e regista, nominato alla fine dello scorso anno direttore artistico della manifestazione, giusto in tempo per firmare l’ultima tranche di spettacoli e lasciare il segno anche nel 2016. La nuova edizione si apre con l’annuncio degli annunci. Quello del progetto di collaborazione triennale con Eimuntas Nekrosius, il regista dei registi. «Verrà a Napoli a lavorare con 20 attori che cercherà qui – racconta Capuccio, “felicemente affaticato” – e per due anni farà studio, per poi arrivare allo spettacolo del terzo anno che sarà da lui diretto con gli interpreti scelti. A proposito, gli attori che parteciperanno ai lavori di Nekrosius lo faranno gratis e saranno selezionati direttamente da lui attraverso un bando pubblico».

Che testo sceglierà Nekrosius?

«Gli abbiamo sottoposto “La scienza nuova” di Vico di cui esiste una traduzione in russo che Nekrosius sta leggendo appassionatamente. Non so poi se il progetto seguirà quella strada anche perché gli artisti bisogna lasciarli stare in pace in modo che possano avere ripensamenti o altre illuminazioni. Essere liberi, insomma, di optare per Shakespeare anziché per Vico».

Quindi il progetto non è ancora certo.

«No, il progetto è molto chiaro e seguirà la linea di tutto il festival che quest’anno avrà il suo centro psicologico nel rapporto fra i maestri e le giovani generazioni. Sto disegnando un festival sulla “trasmissione dei saperi teatrali”. E quello di Nekrosius non sarà l’unico incontro con i giovani. Gli spettacoli saranno sempre i benvenuti, ma dovranno tutti essere accompagnati da processi di autentico incontro fra le culture e dovranno produrre un corto circuito costruttivo per portare a un buon risultato».

E la nostra tradizione teatrale sarà presente?

«Sarà presente, ovviamente. Non potrebbe essere altrimenti vista l’importanza della nostra storia teatrale. Ma ogni storia è viva se si apre, in tutti i campi. Le faccio un esempio. Secondo lei La Capria avrebbe scritto “Ferito a morte” se non avesse letto Fitzgerald? La parola d’ordine del festival sarà: confronto».

Immagino che se dovesse somigliare al suo direttore artistico, questo sarebbe il festival dei mille confronti e delle mille culture.

«Le dico solo che avrà dieci sezioni. La prima sarà quella internazionale, la seconda quella italiana. Poi, la sezione osservatorio, dedicata alle giovani formazioni teatrali e anche ai gruppi non più giovanissime che hanno avuto difficoltà a entrare nei circuiti giusti. La quarta sarà musica e la quinta danza. A proposito, anche qui sarà presente un grande come Dimitris Papaioannou con una prima mondiale, “Almost nothing”. Lui incarna perfettamente il mio credo sulla cultura scenica, ovvero il teatro senza barriere e senza suddivisioni di comodo fra la prosa e la danza.

Be’, un paio di titoli di prosa li potrebbe anticipare prima della presentazione ufficiale del festival a marzo.

«Fra gli oltre ottanta eventi che proporremo ci saranno un “Enrico IV” di Pirandello diretto e interpretato da Carlo Cecchi e “Le serve” di Genet nella riscrittura in lingua napoletana di Antonio Capuano per l’interpretazione di Teresa Saponangelo e Gea Martire».

I biglietti per assistere a questi spettacoli saranno effettivamente contenuti come annunciato? Mi sembra che questo sia un suo cavallo di battaglia.

«Infatti. Conta dire che i biglietti costeranno 8 euro, 5 per gli under 30. L’ingresso sarà invece gratuito per i pensionati, a fronte di una semplice autocertificazione, e per i diversamente abili e i loro accompagnatori».

Una rivoluzione, insomma. Ma torniamo alle sezioni, ne mancano cinque.

«La sesta sarà la letteratura, la settima, invece, sport-opera e sarà rivolta agli scrittori di tutto il mondo che hanno trattato nei loro romanzi il tema dell’agonismo sportivo. Infine, l’ottava sarà dedicata alle mostre, la nona al cinema e la decima sezione sarà quella dei laboratori».

Quale sarà il luogo «privilegiato» del festival?

«La “casa” del Napoli Teatro Festival Italia sarà il Palazzo Reale in piazza del Plebiscito».

Qui si potrebbe anche tornare quindi ai tempi del Pan, quando si svolgevano anche attività collaterali alla manifestazione?

«Certo, il Palazzo Reale sarà il nuovo Pan. Avevamo messo in conto anche l’alternativa dei Decumani, ma abbiamo capito che erano difficilmente raggiungibili, fruibili. A Palazzo Reale invece avremo non solo spettacoli ma tanto altro. E poi possiamo contare sul Teatro di corte, sul cortile d’onore e su quello delle carrozze».

E gli altri luoghi? Sarà sempre un festival diffuso?

«Saranno almeno venti, senza contare la provincia di Napoli e le province, ovvero Salerno (e Amalfi), Caserta, Avellino e Benevento. Ogni città avrà un suo fil rouge a seconda delle proprie caratteristiche naturali e culturali. Ci tengo moltissimo. Questa scelta mira anche ad attivare coscienze che portino a processi autonomi».

Lei dice sempre che non ama parlare di soldi, ma quanto costa una manifestazione così?

«Posto che gli enti locali devono dare la copertura economica e lo stanno facendo benissimo, tanto che stiamo chiudendo pure il programma del 2018 con largo anticipo, è difficile calcolare i costi se si pensa che per ogni spettacolo vengono contemplate varie voci, dai cachet artistici a quelli tecnici per finire all’ospitalità. Ma non me ne occupo personalmente».

Tuttavia avrà un’idea del budget al quale attenersi.

«A grandi linee: faccio attenzione a risparmiare ma soprattutto mi sto occupando di riportare la pace fra il festival, i luoghi dove si svolge e i suoi spettatori. Cerco il bene, insomma».

E come riuscirà in quest’opera di pacificazione?

«Per esempio non mettendo in scena miei spettacoli».

Altri facevano diversamente, allora ha voglia di far polemiche e non di pacificare…

«No, no. Le polemiche sono meravigliose quando partono da presupposti nobili e non da piccoli particolarismi».

23 febbraio 2017

Un’interessante aggiornamento sulla questione in un articolo di Andrea Porcheddu

ANCORA SU NAPOLI E I LABORATORI

Ha suscitato qualche reazione il mio post relativo alle dichiarazioni del direttore del Festival di Napoli, Ruggero Cappuccio. Addirittura sono stato oggetto di non richieste lezioni di giornalismo (“avresti dovuto”, “avresti potuto”) e di qualche insulto (giornalismo d’accatto, ad esempio).

Bene, vale la pena tornarci su, non tanto per chiarire le intenzioni di quell’articolo – riconfermo tutto quello che ho scritto – quanto per provare a ampliare la faccenda. Lungi da me, ovviamente, muovere dubbi sui “maestri”, e tanto meno su un gigante come Eimuntas Nekrosius: ci ha regalato momenti di teatro straordinari, commoventi e irripetibili, di grande bellezza. Ancora oggi, quando mi capita di far lezioni, uso video dei suoi celebri allestimenti Shakespeariani.

Ma, come è evidente, ci sono purtroppo questioni ancora aperte, che vanno affrontate, a prescindere da lui.

Temo che sia cambiato il tempo: non è più la stagione, in Italia, di certe iniziative di “formazione”. Molti attori e attrici, troppi attori e attrici di grandissimo livello, non riescono più a lavorare. La disoccupazione e la sotto-occupazione, nel settore, sono enormi. Per questo, un ennesimo – sono tanti, non possiamo negarlo – progetto di formazione-produzione è vissuto, da numerosi artisti, come uno “sfruttamento”.

Ormai l’unico modo per pensare di lavorare è fare questi “laboratori” gratuiti, che implicano comunque spese.

Pensiamo alla Biennale Teatro, cui pure ho collaborato in questi anni: ecco, mi sembra che la fine del mandato di Alex Rigola – che ha toccato vertici di qualità in questa prospettiva – segni simbolicamente la fine della stagione di formazione/lavoro. A Venezia, la concentrazione di tempo e di luogo, la commistione e contemporaneità di insegnamenti, faceva sì che il progetto formativo fosse intensivo e di alto livello, rivolgendosi chiaramente a attori iper-professionisti in cerca di approfondimento e specializzazione. Poi, se nascevano produzioni – è il caso, per fare un solo esempio, di Angelica Liddell – bene, altrimenti tutti serenamente se ne tornavano a casa con un bagaglio in più.

Ma anche quella pagina deve essere voltata, e servono, per citare Kostia, nuove forme.

Meglio, allora, sarebbe pensare a produzioni vere e proprie con i Maestri di turno, coinvolgendo i tanti attori disoccupati. Oppure declinare il cachet del Maestro coinvolto – Nekrosius o chi per lui – per produrre spettacoli di giovani artisti. Oppure pensare a borse di studio per i partecipanti, oppure ancora a una scuola (come è per l’encomiabile progetto di Santa Cristina creato da Luca Ronconi)  dove l’offerta pedagogica sia concreta e reale. Perché se il Festival di Napoli intende coinvolgere “apprendisti”, giovani neo diplomati, tendenzialmente venti giorni l’anno non bastano. Se invece vuole artisti strutturati, allora torniamo al caso iniziale: le prove dei professionisti vanno pagate sopratutto se sfociano in una produzione.

Viene poi da chiedersi, ormai, se serve creare altri centri di formazione per altri attori, in questo eccesso di scuole che stanno proliferando in tutta Italia, anche grazie alla riforma del Ministero.

Che tipo di scuole abbiamo? Quante ne abbiamo? Cosa e chi formano?

Ci saranno certo molti iscritti a Napoli, ne sono sicuro, ma temo si sia all’esaurimento di una modalità produttiva che, dagli inizi del Duemila, ha invaso l’Italia. La masterclass – da unica e irrepetibile che era – è diventata la quotidianità, un succedaneo del lavoro. Sulla crescita esponenziale di workshop e laboratori ho già scritto sin dal 2015 (qui), non è il caso di tornarci ora: ma dovremmo aprire un serio dibattito sulla pedagogia teatrale.

E ancora: forse sarebbe stato anche opportuno che, in un segno di rilancio del festival, si chiamassero semmai Maestri nuovi e diversi. Ma questa è un’opinione personalissima. E in quanto tale opinabile e discutibile.

Inoltre: un direttore di un festival importante come quello di Napoli, non può permettersi gaffes con i giornalisti. Non può far scrivere “attori” e “lavoro” quando si tratta di “allievi” e “formazione”. Vista la situazione generale, tanto più bisogna stare attenti. Soprattutto parlando con “Repubblica” e “Corriere della Sera” che riportano le stesse frasi: non sono giornali di serie B o blog internet come il mio, non si possono smentire tanto facilmente o correggere. E non è il caso di dare sempre la colpa ai giornalisti di aver frainteso, come è pratica di tanta politica italiana.

Infine, credo che la critica teatrale serva anche per porre domande, per sollevare dubbi, per aprire questioni.

Sono stato accusato di fare “giornalismo d’accatto”! Perché pensare che si sia sempre qualcosa “dietro” a domande e discussioni, che credo siano legittime? Perché parlare di scandalo?

Nessuno mi paga per fare questo mestiere. Non ho stipendio e non ho padroni: non ne faccio un vanto, è una banale realtà (vorrei tanto avere uno stipendio, figuriamoci!). Ma credo comunque sia inutile fare il “coro di consenso”: meglio, sempre e comunque, qualche sana domanda. Nell’orizzonte politico italiano, assistiamo attoniti al ritorno dello spettro della censura: chi non acconsente viene bollato, gli altri devono solo far il coro.

Nel teatro, per fortuna, non è così: e sono certo che Nekrosius e Cappuccio – e chi lavora con loro – siano d’accordo. Il teatro è democrazia discorsiva, è incontro e dialettica. Lasciamo, vi prego, spazio al dubbio e alle domande. 

Ancora su Napoli e i laboratori

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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