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Chi dice che non ci sono soldi per il teatro?

Teatro e soldi, soldi e teatro. Deve pur esserci un modo per farne a vagonate, o no? Non lo so, non ne ho la più pallida idea. Bisognerebbe chiedere ai frequentatori dei golf club, uomini eleganti che sanno distinguersi dalla massa, vuoi che non abbiano dei buoni consigli da darci? Sicuramente sapranno suggerire qualcosa di utile.

Ma noi, i “teatranti” cosa possiamo dire? Quanti sono? Tanti, troppi? Chi può dirlo. Scuole, corsi, seminari, laboratori, decine e centinaia. Una fucina, con protagonisti i giovani attori del futuro. In gamba lo sono certamente, promettenti con una gran voglia di arrivare lontano. E’ un augurio che ci sentiamo di condividere.

Si sostiene (lo fanno in molti) che non tutte le scuole sono uguali. Pochissime rappresentano un pezzo di storia per quanto concerne la formazione di attori in Italia, alcune si autodefiniscono importanti ma non lo sono, altre vengono considerate poco rilevanti, altre ancora del tutto trascurabili. Non è il nostro punto di vista, ma c’è qualcosa di più interessante di cui parlare. Qualcosa che viene detto di frequente, poche parole ripetute continuamente in modo da non poterle mai dimenticare.

Parole il cui significato non è in sé essenziale, quel che conta è la ripetizione regolare del suono, praticamente un mantra. Una “formula” la cui efficacia non dipende dalla partecipazione interiore del soggetto che la pronuncia, ma (come un mantra appunto) è essenza e manifestazione di una realtà data, mai messa in discussione. Con la differenza che non ha “scopi segreti” e nessuna possibilità (recitandola) di “salvarsi”. Il mantra ha questo potere (o almeno si crede che abbia un potere) e chi lo abbraccia è intimamente convinto che “esso lo salverà”.

Da parte nostra, siamo perfettamente consapevoli che ogni forma di vita è espressione di una particolare vibrazione, ed è questa a tenere insieme il “sistema”, le diverse parti della forma vita come un unico organismo, e quando questa vibrazione cessa la forma si esaurisce. Il pronunciare frequentemente le stesse parole, dunque, consolida una stessa e immutabile realtà.

L’enunciato che una diffusa consuetudine impone è il seguente: “non ci sono soldi per il teatro e farlo significa scarsi guadagni”. E’ esattamente questo che diciamo ai giovani – non faranno soldi con il teatro. D’accordo c’è il cinema, la pubblicità, la radio, il doppiaggio e altre cose. Ma il teatro non dovrebbero farlo (se vogliono guadagnare bene s’intende).

E’ vero, c’è qualche stella nel firmamento del teatro italiano, che di soldi ne fa e molti. Non ci si riferisce qui, ai grandi vecchi attori, straordinari e meravigliosi, ma ai piccoli astri che brillano sulla volta celeste dello spettacolo. Ci sono certo, e buon per loro, ma la maggior parte delle persone pur riconoscendo a loro meriti e qualità, sembra che siano consapevoli di ciò che li aspetta: cioè, una ricompensa con lode e la conoscenza di un lavoro ben fatto, ma raramente un salario di sussistenza.

Si lavora per meno, qualche volta per niente. Ci sono registi e attori pluripremiati (ricordiamo che si sta parlando solo ed esclusivamente di teatro), che non vivono della loro “professione”. Non possono, non riescono. In realtà, per i più fortunati e famosi, la vera professione esercitata è quella dell’insegnante: vivono facendo stage e laboratori. Per gli altri, fare uno spettacolo è solo un’interruzione momentanea dal lavoro part time con cui pagano la penale del “sentirsi artisti”. La grande massa dei lavoratori artistici non riesce ad avere un’entrata mensile certa, e, quasi nessuno, a fine anno, riesce a mettere da parte qualche soldo. Vivono a rimborso spese e nessuno di loro avrà mai una pensione. Attori e attrici considerati sulla cresta dell’onda, devono recitare in almeno … diciamo … tre, forse quattro produzioni all’anno per far fronte alle spese vive dell’esistenza.

Tutto ciò dimostra due fatti: per gli artisti il teatro è diventato semplice passione e divertimento, un passatempo, e dunque agito in modo “amatoriale”. La seconda questione è: le produzioni e i direttori artistici fanno loro un favore producendo e ospitando i loro spettacoli a rimborso spese o a percentuale.

Gli artisti sono dunque coscienti di essere amatoriali e sono felici di esserlo? Possibile? Non possiamo crederlo. Altrimenti, dovremmo considerarli dei pazzi. Sarebbero dei pazzi se veramente si illudessero di essere dei lavoratori professionisti.

La lotta contro le avversità rafforza la nostra determinazione, non c’è dubbio, ma che cosa fa alle nostre legittime aspirazioni? A quel desiderio vitale di poter conseguire un fine nobile, alla virtù, alla perfezione, al benessere, all’elevazione sociale? Quanto distruttivo può essere un atteggiamento?

La creatività, o meglio l’istinto creativo non è un dono o una grazia speciale, una capacità, un talento o un’abilità. E’ invece, un’immensa energia che spinge a dedicarsi a se stessi attraverso questo (il teatro) o altro mezzo specifico. Un impulso, una spinta sempre forte, un desiderio all’inventiva e alla fecondità, un insopprimibile bisogno di produrre idee che libera il sacrificio (libera non costringe) e dunque alla devozione verso la propria persona nel suo divenire.

Ma, con la consapevolezza di un tale entusiasmante potere, si diffonde al contempo, un senso di impotenza come quando per una qualche ragione un organo si rende incapace di esplicare un atto o una funzione. Tutto il nostro essere si impregna di sfiducia e di stanchezza. Che cosa fai? Ah… niente… per il momento lavoro nel settore della “mancanza di motivazione economica”. E’ tanto una verità quanto l’idea che i medici lavorano con la malattia e i banchieri con i soldi. In teatro le persone sono senza un soldo: quando si dice “i fatti della vita”(E’ il titolo di un interessante saggio edito da Einaudi dello psichiatra scozzese Ronald D. Laing).

La domanda è: il teatro deve necessariamente dipendere dai sussidi? Oppure è possibile altro? E quando non arrivano, cosa si fa? Ne parleremo, passo dopo passo scandaglieremo ogni possibilità, valuteremo ogni opzione. E’ possibile un nuovo modello? Sarebbe interessante vedere una nuova generazione di giovani Theatremakers che pensano a se stessi come imprenditori e artisti. Perché no? Ci potrebbero non essere così tanti soldi in teatro, ma non si dovrebbe scegliere una carriera senza la presunzione di poter eccellere, sia dal punto di vista creativo che in quello finanziario.

Seguici, ne sentirai di cose…

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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