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I banchieri dell’oro mai di Dio

 

I banchieri d’oro mai di Dio delle grandi banche europee, sono sempre qui felicemente con noi e noi con loro, operanti in buona parte nella sempre florida capitale mondiale della finanza, vale a dire Londra. Sono cosi piacevolmente stimolati alla conquista e al possesso come ebbe a dire il vecchio sindaco della capitale inglese Boris Johnson “‎‎greed is good‎‎”, incitando i manager all’avidità, gli altri all’invidia. Si narra (ma è solo un riferire fatti senza alcun fondamento) che l’Italia sia un paese completamente diverso per cultura, fattori di produzione e industria bancaria. Non lo è, naturalmente! Nei forzieri dei mercanti, dei banchieri e degli usurai non c’è cultura, ma solo buona parte della ricchezza mondiale. Si può star tranquilli che c’è sempre qualche organismo (con sede in London) che invita, alla prudenza e alla sostenibilità nelle remunerazioni del credito. Ma mai con successo. Ecco un articolo che sembra non voglia fare altro che deliziarci, darci godimento nella semplice lettura. Ma è piacevole anche questo!

Da Charles Dickens al cinema,  gli anti-eroi nel cuore di Londra

L’invenzione letteraria e, più tardi, il cinema, hanno guardato con sospetto, fin dall’era vittoriana, alla figura del banchiere, specialmente d’affari

di Matteo Persivale

Thomas Jefferson, uno che difficilmente verrebbe invitato dalla Goldman Sachs per una serie di conferenze da 210 mila euro l’una come Hillary Clinton, nel 1816 definì le banche, in una lettera a un amico senatore, come «più pericolose degli eserciti».

Due secoli dopo, è diventata un’opinione meno radicale: ma c’è da dire che la letteratura – e, più tardi, il cinema – hanno guardato con sospetto, fin dall’era vittoriana, alla figura del banchiere, specialmente d’affari. Al quale sono stati spesso cuciti i panni del cattivo con grande facilità: per un buon banchiere come Jarvis Lorry della banca Tellson’s del «Racconto di due città» (con «Barnaby Rudge» è l’unico romanzo storico scritto da Dickens) che, uomo freddo e scontroso, scopre un’inaspettata umanità, ce ne sono tanti altri cattivi. Come, sempre per restare nel corpus dickensiano, Mr. Merdle (l’assonanza con la parola francese è intenzionale, come sempre nei nomi dei personaggi di Dickens): il banchiere crudele di «La piccola Dorrit» che pareva avere il tocco di re Mida, «che trasformava in oro tutto quel che toccava. Bravo in tutto, dalla finanza alle costruzioni. Era in Parlamento, ovviamente. Era nella City, per necessità. Direttore di questo, amministratore di quello, presidente di quell’altro». Si trattava, ovviamente, di un mascalzone: Dickens crea la maleodorante etica di Mr. Merdle sulla falsariga di un personaggio realmente esistito nella Londra di quegli anni, John Sadleir, malversatore che distrusse la Tipperary Joint Stock Bank.

D’altronde Dickens, da bambino, aveva visto suo padre John incarcerato a Marshalsea, la prigione per i debitori insolventi definitivamente chiusa nel 1842, con «i fantasmi di molti anni miserabili», per citare sempre «La piccola Dorrit». Ci sono scrittori che hanno lavorato nella City: per esempio il premio Nobel T.S. Eliot impiegato alla Lloyds Bank dal 1917 – quando aveva 29 anni – al 1925, quando ne aveva 37. Aldous Huxley ci racconta che lo andò a trovare e lo trovò in un ufficetto «non a piano terra e neppure nel sotterraneo, ma in un sotto-sotterraneo, seduto a una scrivania in fila con tanti altri impiegati» che l’avevano soprannominato «The Elephant», l’elefante, per la memoria alla quale non sfuggiva nulla. Una situazione letteralmente fantozziana alla quale gli amici del circolo di Bloomsbury (tra i quali Virginia Woolf) cercarono di sottrarlo offrendogli uno stipendio annuale per dedicarsi soltanto alla poesia (aveva già pubblicato «La terra desolata», del resto, non si trattava, come gli disse in modo memorabile il suo capufficio, «di un hobby»). Eliot, rampollo di ottima famiglia di St. Louis, rifiutò sdegnato l’offerta di Woolf e continuò a scendere per cinque giorni alla settimana nel suo sotto-sotterraneo, fin quando cambiò mestiere e andò alla casa editrice Faber & Faber (nel 1948 poi vinse il premio Nobel).

Anthony Trollope, altro gigante vittoriano, ne «La vita oggi», crea la figura di Augustus Melmotte (secondo il Guardian «uno dei personaggi più mostruosi della letteratura britannica») che rappresenta tuttora uno dei finanzieri più spaventosi mai usciti dall’immaginazione di uno scrittore. Ma la linea più seguita è quella di George Orwell che nel pamphlet «Il leone e l’unicorno» (1941) definì i banchieri della City «con le facce come trappole per topi», concedendo almeno a Hitler il titolo dell’uomo «che ha fatto ridere la City di Londra dal lato sbagliato della faccia».

Certo c’è voluto un romanziere americano, Bret Easton Ellis, per immaginare un banchiere d’affari serial killer, ma quella è Wall Street. La City di Londra, più educata se non più rarefatta, ha i suoi yuppie ma almeno non sono cannibali: tocca loro andare al cinema a vedere film americani («Wall Street», «Il falò delle vanità», «Lo squalo di Wall Street») per trovare le imprese dei colleghi d’oltreoceano. A teatro però nel West End londinese, nel 2009 ci fu la prima della pièce di David Hare «The Power Of Yes». Più giornalismo che finzione, nel quale il personaggio dell’Autore intervista esperti della City per capire come sia stata possibile la crisi finanziaria del 2008. Il conservatore Daily Telegraph scrisse che «ci vengono fornite tante informazioni e opinioni di esperti. Sotto il profilo drammatico però, è faticoso». Senza contare che, scrisse il critico del quotidiano londinese, il personaggio dell’Autore porta «una terribile giacchetta». L’autore, David Hare, è sposato con la stilista Nicole Fahri: «Non la indosserebbe neanche morto».

http://www.corriere.it/esteri/16_ottobre_23/da-charles-dickens-cinema-anti-eroi-cuore-londra-c386ee4e-995b-11e6-8bff-dd2b744d8dfe.shtml?refresh_ce-cp

globetheatre

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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